17 minuti per rispondere a Meloni: il piagnisteo di Saviano

Forse un po’ per il Natale, forse un po’ per l’abbagliante caso Ferragnez, è passato in secondo piano il video di risposta di Roberto Saviano alle parole pronunciate dal palco di Atreju da Giorgia Meloni. Non un video normale, ma 17 – diciassette! – interminabili minuti di luci soffuse, di sguardi biechi, di voci calde e sapute in cui Saviano offre una perfetta dimostrazione del protagonismo, del vittimismo e della saccenza tipici del mondo radical-chic. Diciassette minuti sono tanti, ma per Saviano in realtà sono appena sufficienti per riversare tutto il suo ego contro Meloni: c’è di tutto, da un’analisi dei discorsi del premier e dei leader di destra in generale alla denuncia per diffamazione ritenuta impari, dalla questione scorta alla “mera repressione” di Caivano.

La barbosa argomentazione di Saviano parte dalla lettura dell’invito ad Atreju risalente al lontano 2009 da parte della stessa Meloni – lettura che impiega già i primi due minuti di video – grazie alla quale Saviano si spalanca il pretesto per chiedersi: “Perché ha cambiato idea su di me?”. Domanda alla quale la risposta gli pare ovvia: serve un “catalizzatore d’odio”, che Saviano senza fatica si appresta ad impersonare. Il guru dell’anticamorra arriva alla conclusione dopo una lunga analisi, alla stregua di tante altre analisi amatoriali che si vedono in giro, su com’è fatto un discorso politico. “Disumanizzare una categoria di persone – dice Saviano – ecco il primo passo: che siano neri, cinesi, musulmani, ebrei, meglio se poveri, perché i poveri non hanno voce e non possono difendersi”. E dopo essersi messo a livello di poveri e persone discriminate, riparte: “E poi, accanto alla massa da disumanizzare, serve un simbolo da demolire. Un simbolo che diventi un catalizzatore di odio. Quindi io divento solo uno strumento di propaganda utile, anzi utilissimo; la mia sola esistenza costituisce per loro un elisir di lunga vita”. In pratica, secondo Saviano e le sue manie di protagonismo, è grazie a lui se Giorgia Meloni è Presidente del Consiglio, se Fratelli d’Italia è al governo della Nazione e se i sondaggi sono stabili intorno al 30% da più di un anno. È dunque lui il simbolo di una lotta che va combattuta contro le “bande al potere”. “Ho paura a entrare in un tribunale e in una caserma finché sarete al potere, perché siete una banda” dice, e ancora: “Può accadere di tutto a persone come me o a persone che si mettono contro questa banda”. Saviano si dice spaventato in pratica da chi lo critica. “Mi stai impedendo di parlare? Questo state insinuando?” si chiede. La risposta la diamo noi: caro Saviano, sì che puoi parlare, come hai sempre fatto in tutti i modi che il parlare richiede e con tutte le conseguenze, soprattutto positive, che il parlare comporta. Ma sarebbe bene non avere posizioni ideologiche sul tema della criminalità, sarebbe bene avere il buonsenso di raccontare in modo corretto quello che sta accadendo a Caivano: non “la strumentalizzazione palese di un fatto di cronaca”, ma l’impegno chiaro dello Stato che – come mai prima d’ora – si è fatto sentire in una delle più grandi “zone franche” d’Italia. “Storie da raccontare, che nessuno scrittore racconta, forse perché i camorristi fanno vendere molto di più, ci si fanno le serie televisive, regalano celebrità, ricchezza, e magari regalano un pulpito da New York da cui dare lezioni di legalità agli italiani, sempre si intende a pagamento”: basta questo, le parole – veritiere e per questo incriminate – di Giorgia Meloni, per vanificare il fiato sprecato da Saviano nei diciassette minuti di lamentela.

Ma se a Saviano non stanno bene le accuse di un premier a sua detta “pericolosamente incompetente in tema di antimafia”, la vera risposta ai suoi piagnistei arrivò già mesi fa, da chi combatte la criminalità organizzata non da New York, ma sporcandosi le mani per strada. “Ho potuto notare quanto male ha fatto a tanti nostri ragazzini a rischio la serie televisiva Gomorra” aveva scritto in una lettera don Maurizio Patriciello, parroco del Parco Verde. O ancora la sorella di Giovanbattista Cutolo, ucciso all’ombra del Maschio Angioino per futili motivi: “Napoli non è Gomorra”. A nulla dunque serve il piagnisteo di un Saviano stranamente vestito di grigio (intelligentibus pauca), a nulla le sue accuse, il suo vittimismo nei confronti di un nemico tale in quanto ideologicamente distante. A nulla i diciassette minuti di argomentazioni e di elucubrazioni del vate Saviano, se chi veramente si impegna sul tema dell’antimafia è dalla parte di Giorgia Meloni.

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