Altro che tutti promossi. Giorgia Meloni vuole una scuola meritocratica e giusta

Reduci dalla tre giorni di Milano si può serenamente dire che Fratelli d’Italia abbia centrato tutti gli obiettivi che si era prefissato con la conferenza programmatica, in primo luogo quello di rimettere al centro del dibattito politico italiano dei temi che troppo spesso sono rimasti marginali e che oggi, magicamente, tornano di moda. Si è parlato infatti tra le altre cose di scuola e della necessità di investire nell’istruzione per restituire alla Nazione la dignità che merita. Si è parlato di merito, di valorizzazione delle competenze e di necessità di garantire a tutti, indipendentemente dalla condizione sociale, eguali opportunità. Tuttavia oggi si leggono sui giornali interpretazioni approssimative e strumentali, in base alle quali Fdi avrebbe proposto una “scuola senza bocciature”, in tal modo mortificando il riconoscimento delle capacità, fondamentale per la costruzione di una società solida e competitiva.

Ebbene, se ci si fosse presi la briga di verificare che cosa si è fatto e si è detto durante la tre giorni di Milano, si sarebbe facilmente giunti a conclusioni differenti, meno affrettate e più corrispondenti alla realtà. Alla conferenza infatti il partito ha raccolto spunti di riflessioni e suggestioni provenienti dalle migliori menti della società civile, del mondo accademico,  dell’industria, dell’amministrazione dello Stato, inserendo tutti i contributi negli “appunti per un programma conservatore” – così titola a chiare lettere la pubblicazione – che porteranno FdI in questi mesi alla costruzione delle proprie proposte di governo. Tra questi contributi è spiccato per originalità espositiva quello di Luca Ricolfi, che nella sintesi che ha fornito, dopo aver affrontato i punti nodali della necessità di valorizzare il merito e di garantire a chiunque le medesime possibilità, indipendentemente dalle condizioni sociali di partenza, ha lanciato una provocazione: in un sistema che ha distrutto la scuola dalle sue fondamenta, riducendola a una “macchina della disuguaglianza” in cui è destinato ad emergere solo chi parte da buone condizioni sociali e livellando verso il basso la preparazione di tutti gli altri, un cambiamento potrebbe essere costituito dall’effettivo riconoscimento delle competenze. Come? Immaginando una scuola che certifichi, al di là delle bocciature e senza la necessità di far ripetere gli anni scolastici, il livello di competenze effettivamente raggiunto.

Ricolfi molto lucidamente ha analizzato il tracollo della scuola italiana degli ultimi quarant’anni, attribuendo ad una sinistra miope e malata di folle volontà di “democratizzazione” della formazione, il deterioramento dei livelli d’istruzione. Ha spiegato bene, seppur sinteticamente, che la scuola nella visione progressista ha amplificato le disuguaglianze, tradendo in sostanza l’art. 34 della costituzione. Ha proposto poi delle visioni, per resistere ad una deriva che potrebbe sembrare esiziale, ma che può essere arginata valorizzando la meritocrazia e consegnando nelle mani dei giovani italiani una scuola più giusta e più adatta alle esigenze del contesto sociale.

E’ ben chiaro che questi preziosi spunti di riflessione, di cui il partito farà tesoro, pongono problemi complessi e offrono ipotesi di soluzioni complesse, che non possono essere svilite da una lettura superficiale e non devono essere liquidate con analisi epidermiche. Ma per agevolare il dibattito si è disposti ad insistere sulla provocazione lanciata a Milano. Ebbene, credere che la scuola di oggi, o quella del futuro, garantirà meritocrazia ed eccellenza solo conservando la sua attuale impostazione è un errore che non possiamo più permetterci di fare e che ci lascia impantanati nel terreno melmoso di gattopardesche riformette che si sostanziano da sempre in compromessi al ribasso. Le pretese rivoluzioni della sinistra altro non hanno fatto in questi ultimi decenni che svilire il ruolo della formazione nel nome del dogma dell’inclusione indiscriminata.

E si badi, inoltre, che in Italia a scuola si boccia poco, il tasso di ripetenza è intorno al 13%, con paesi europei in cui supera anche il 25%. Se a queste bocciature si sottraggono quelle che riguardano giovani con problemi di condotta, dunque non legati strettamente alla didattica, è verosimile che la percentuale si abbassi. Ciò che emerge poi è che alla fine del percorso scolastico, attese anche le scarse competenze acquisite, gli studenti italiani incontrano serie difficoltà sia nell’ingresso nel mondo del lavoro sia nel completamento in tempi adeguati del percorso universitario. Non possiamo dunque nasconderci che tutto ciò è frutto dell’ideologia progressista del “sei politico”, che ha determinato un oggettivo deterioramento dei livelli di istruzione. E a cascata ciò ha allargato il divario tra le diverse condizioni sociali, tra chi ha una famiglia alle spalle, che può garantire ai propri figli le risorse necessarie e chi non ce l’ha.  E così, di fatto, la scuola costituisce uno dei primi blocchi dell’ascensore sociale, che porta in salvo chi può permetterselo, abbandonando gli altri alle sorti della dispersione scolastica o della scarsissima preparazione.

E dunque sulla scorta di quanto detto sinora, dopo la provocazione dell’eliminazione delle bocciature si coglie l’occasione per farne un’altra: una didattica tradizionale che prevede i compiti a casa a completamento del lavoro svolto in classe può restare in piedi solo se la scuola è in grado di sostenerla, fornendo spazi aperti agli studenti oltre le ore curriculari, lasciando le classi a disposizione di tutti coloro che a casa non possono studiare perché hanno famiglie disfunzionali, perché non posseggono una scrivania dove appoggiare un libro o perché il richiamo della strada e della devianza giovanile è più forte di quello della famiglia, a volte assente, povera o emarginata.

La didattica deve rispondere anche alle esigenze che il contesto sociale impone, se si vuole garantire a tutti di ottenere una formazione adeguata.

In questo modo si è aggiunta carne al fuoco per i banalizzatori di professione, che preferiscono leggere con faciloneria un concetto decontestualizzato. E tuttavia, nonostante occorra spiegare ciò che non vi sarebbe bisogno di spiegare, tanta era la chiarezza del messaggio lanciato, si ritiene che sia un bene che se ne parli e gli attacchi insensati alle posizioni espresse a Milano sono il termometro del fatto che Fratelli d’Italia si è resa artefice di un percorso che ha riportato la scuola e il merito nell’agone del dibattito politico e culturale italiano. Magari, la prossima volta, a scanso di brutte figure, sarebbe il caso di leggere gli eventi con più attenzione e con meno desiderio di aprioristica e contestazione.

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2 Commenti

  1. Sarebbe troppo bello. E’ decenni che se ne parla…ma sempre peggio. Come il sistema del reclutamento nelle scuole e nelle università che al 80% rispondono ad un sistema”mafioso” clientelare che spinge i migliori ricercatori a scappare via e gli altri a combattere con ricorsi e controricorsi.

  2. La scuola è diventata un luogo di bullismo e terrore, non è più formativa e tutt’altro che meritocratica. Si appiattiscono tutti, altro che meritocratica.. piuttosto simpatocratica per così dire, se l’allievo si arruffiana sufficientemente con l’insegnante avrà un miglior giudizio e così si perpetua il sistema sociale delle conoscenze personali (ad esempio per trovar lavoro) nel senso di essere favoriti se stai simpatico, se ti arruffiani correttamente.

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