La sinistra italiana non smette mai di sorprenderci. Dopo il caso di Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, che ha dovuto giustificare la Tesla della compagna con un imbarazzante “l’abbiamo comprata prima che Musk diventasse nazista”, ora tocca a Rosy Bindi, ex ministro e icona del progressismo cattolico, inciampare sullo stesso terreno. Intervistata a Un Giorno da Pecora su Rai Radio1, Bindi ha rivelato di aver scoperto – udite udite – di possedere azioni Tesla nel suo portafoglio di investimenti. Azioni prontamente vendute, assicura, “prima del grande crollo, durante la campagna elettorale americana”. E non solo: ha dismesso anche partecipazioni in industrie di armi, appena ne è venuta a conoscenza. Una vera epifania morale, verrebbe da dire. Ma è davvero così?
La vicenda ha un che di tragicomico. Fratoianni e Bindi, due pilastri della sinistra nostrana, si ritrovano accomunati da un curioso filo rosso: il “non sapevo”. Lui scarica la colpa sulla compagna, lei sulla banca che gestiva i suoi risparmi. Sembra quasi un copione da commedia all’italiana: “Possiedo Tesla, ma non è colpa mia!”. Eppure, dietro le risate, emerge una domanda seria: quanto è credibile questa improvvisa crociata contro Elon Musk, magnate visionario che la sinistra ha deciso di trasformare nel nuovo cattivo di Hollywood?
Musk, con le sue posizioni sempre più vicine a Donald Trump e la sua retorica anti-establishment, è diventato il bersaglio perfetto per chi si nutre di indignazione a comando. Comprare una Tesla o possederne le azioni? Un peccato mortale, un tradimento dei sacri valori progressisti. Ma la realtà è più prosaica: Fratoianni ha rivenduto l’auto, Bindi ha scaricato le azioni – e con tempismo invidiabile, prima del crollo di Wall Street. Altro che coerenza ideologica: qui si sente odore di pragmatismo, condito da una buona dose di opportunismo politico.
E allora viene da chiedersi: è davvero Musk il problema, o è la sinistra che non sa più guardarsi allo specchio? Se il punto fosse stato la purezza etica, Bindi avrebbe controllato il suo portafoglio prima di affidarlo a terzi. Fratoianni, dal canto suo, avrebbe potuto rinunciare all’auto elettrica dei sogni senza bisogno di giustificazioni da avanspettacolo. Invece, entrambi si sono mossi solo quando la contraddizione è diventata pubblica, trasformando una scelta personale in una bandiera da sventolare. O da nascondere, a seconda della convenienza.
Qui sta il nodo: la sinistra italiana, che ama riempirsi la bocca di parole come “etica” e “coerenza”, sembra incapace di applicarle nella pratica. Boicottare Tesla per le idee di Musk è una posa nobile, ma che senso ha se poi si delegano i propri soldi a gestori finanziari senza nemmeno sapere dove finiscono? E che dire del paradosso di una classe politica che demonizza il capitalismo sfrenato, ma ne approfitta quando fa comodo? Bindi che vende “prima del crollo” non è una pasionaria della giustizia sociale: è una che sa fare i conti in tasca.
Intendiamoci: Elon Musk non è un santo. È un miliardario eccentrico, un provocatore che gioca con le regole del sistema. Ma proprio per questo piace a chi è stanco delle prediche dei benpensanti. E forse è questo che spaventa la sinistra: non le sue idee, ma il fatto che rappresenti un’alternativa al loro monopolio morale. Fratoianni e Bindi possono vendere auto e azioni quanto vogliono: il vero dietrofront è quello di un’ideologia che, a furia di inseguire la purezza, finisce per inciampare nella propria ipocrisia.