La Whirlpool e gli aiuti dell’Italia
Bella, ciao. Per carità, niente a che vedere con la canzone della Resistenza piuttosto con la continua fuga delle aziende italiane dal nostro Paese. A cui si aggiunge l’acquisizione predatoria di importanti asset industriali dell’Italia da parte di multinazionali straniere, specie francesi. Ultimo esempio la francese Lactalis che dopo Parmalat ha acquisito la Nuova Castelli, impresa che produce il Parmigiano reggiano.
Una catena di eventi che si spiega con la totale assenza di una politica industriale. In principio furono i governi a guida Pd della scorsa legislatura e adesso la gestione insipida di Di Maio al Mise, il quale soltanto a cose fatte si accorge delle crisi industriali. E’ accaduto con Mercatone Uno, dove l’azienda ha licenziato via whatsapp i dipendenti, e adesso con la Whirlpool che vuole chiudere lo stabilimento di Napoli.
E’ durato anni il tira molla tra Whirlpool e governo Italiano. La dinamica è stata più o meno sempre la stessa: la multinazionale americana minacciava di lasciare l’Italia e il governo l’abboniva con (tanti) soldi pubblici. Poi la notizia di qualche giorno fa: il sito di Napoli verrà ceduto e 430 dipendenti perderanno il lavoro.
E pensare che, tira e molla a parte, ci fu anche un giorno in cui Whirlpool acquisendo Indesit – storico marchio simbolo del Made in Italy – sembrava davvero intenzionata ad investire in Italia. Tanto che il governo partecipò ad un contratto di sviluppo con il quale investiva (di nuovo), attraverso una società pubblica come Invitalia, 10 milioni di euro per far crescere la multinazionale americana nella nostra Nazione.
Era il 2015, e sembrava il lieto fine di una storia tormentata.
E invece no. Le scelte della multinazionale americana hanno sempre tenuto conto di interessi di altro genere, infischiandosene beatamente del patto siglato con lo stato Italiano in quel 2015.
La vicenda del sito di Napoli infatti, è soltanto l’ultimo episodio di una lunga catena. Come con la chiusura dello stabilimento di Riva del Chieri, in provincia di Torino, che nel 2018 aprì la strada a 497 esuberi (salvati solo in seguito dall’intervento di due aziende interessate a rilevare gli asset della Whirlpool – la Venture Productions, israeliana con capitale cinese produttrice di robot e droni per la pulizia di pannelli fotovoltaici e filtri per l’acqua e la torinese Astelav, specializzata nelle rigenerazione di elettrodomestici usati); poi la conversione dello stabilimento campano di Corinaro in una base logistica, che pur salvando il sito dalla minacciata chiusura e quindi dall’esubero dei dipendenti, portò comunque ad una drastica riduzione del personale.
Giorgia Meloni già nel 2015 a Carinaro con i dipendenti dello stabilimento
Fu proprio dinanzi al rischio chiusura dello stabilimento di Corinaro che Giorgia Meloni, già nel 2015, chiedeva al governo di far rispettare regole ed accordi:
“Lo stabilimento Indesit-Whirlpool di Carinaro rischia di chiudere perché il governo italiano non è in grado di mantenere i patti che una multinazionale americana come Whirlpool ha stipulato con l’esecutivo. Siamo quindi di fronte ad una multinazionale americana che prende i soldi dal governo italiano, ovvero dalle tasche degli italiani, per chiudere degli stabilimenti italiani in Italia. L’esecutivo dovrebbe fare una cosa semplice: spiegare alla multinazionale americana che o rispetta i patti stipulati con l’Italia oppure deve restituire i soldi degli italiani che si è messa in tasca. perché quello di Whirpool non è un caso isolato, ma solo uno dei tanti esempi della pessima politica industriale portata avanti dal governo Renzi, che sta chiudendo un occhio davanti a quello che aziende private o straniere stanno facendo in Italia. Aziende di eccellenze svendute o cedute a privati o ad aziende straniere, che vengono in Italia a rubare i nostri brevetti e il nostro know kow per poi spostare da altre parti i siti produttivi».
Il piano di rilancio che non ha funzionato e l’ultimatum – tardivo – di Di Maio
Ma fortunatamente, alla fine, il sito di Corinaro fu salvato e ad ottobre dell’anno scorso sembrò arrivare un’altra tregua. Stavolta in maniera più credibile, grazie a un accordo raggiunto sul nuovo piano industriale 2019-2021 di Whirlpool in Italia; l’intesa sottoscritta dal ministro Luigi Di Maio, dall’azienda e dai sindacati vedeva Whirlpool accogliere le richieste di far tornare in Italia alcune linee di produzione attive all’estero e la garanzia che non ci fossero esuberi”. “Un accordo di cui Luigi di Maio è stato solo spettatore e non ha meriti” – si affrettarono però a specificare i sindacati.
Tuttavia, anche sul “rilancio” pare che qualcosa non abbia funzionato, dato che a meno di un anno dopo, l’accordo pare “stracciato” e la Whirpool annuncia di cedere il sito di Napoli.
Dal canto suo il ministro Di Maio, sempre a crisi scoppiata, ha fatto sapere ai vertici dell’azienda di non accettare il non rispetto di accordi siglati. Concetto ribadito – e a quanto pare urlato – al tavolo convocato il 4 giugno dal vice ministro con i sindacati e i rappresentanti dell’azienda, con annesso l’ultimatum di sette giorni di tempo per rispettare gli accordi. Pena: la revoca di tutti gli aiuti statali che sono stati erogati fino ad oggi all’azienda (circa 27 milioni).
Peccato però che l’Azienda abbia confermato di non avere una soluzione per garantire i posti di lavoro.
Fratelli d’Italia a Di Maio: eviti le sceneggiate
Il classico ruggito del coniglio. Anzi di più, perchè per il senatore di Fratelli d’Italia Antonio Iannone rimarca: “In un anno di Mise Di Maio ha fatto il turista anziché il ministro”. Bocciatura secca perchè per l’esponente salernitano del partito di Giorgia Meloni “sulla vicenda Whirlpool sono evidenti le sue responsabilità e ora non può pensare di cavarsela denunciando che l’Italia è stata presa in giro. Ma soprattutto ricordandosi dei lavoratori soltanto quando la crisi è scoppiata. La verità è che in questo anno al Mise Di Maio ha fatto tutto fuorché il ministro e la crescente crisi industriale della nostra Nazione ne è la prova”.
Tra una settimana vedremo se il “tardivo” ultimatum di Di Maio porterà i risultati sperati. Ma a guardare i risultati finora raccolti non c’è da ben sperare.