Sono passati più di 40 giorni dall’inizio del lockdown che ci ha cambiato la vita. Si sono avvicendati decreti, dirette Facebook, polemiche a reti unificate, presunte misure poderose e miriadi di task force composte da centinaia di espertissimi tecnici. Il primo nominato tra i 450 fortunati consulenti del Governo, il commissario straordinario Arcuri, è quello che, in ordine di tempo, si è assicurato per ultimo il palcoscenico a causa dell’ormai famigerata app immuni.
Sono giorni che si avvicendano annunci e smentite sulla volontarietà dell’installazione dell’applicazione e sugli “incentivi e agevolazioni” che dovrebbe avere chi la scaricherà. Intanto sono iniziati i test per la verifica del funzionamento e il governo, in coro col commissario, ha tenuto nuovamente a specificare che l’adesione al contact tracing sarà su base assolutamente volontaria e che tuttavia si renderà necessaria per riacquistare nella fase due libertà di movimento, mercè la vanificazione degli sforzi compiuti sin’ora.
E d’improvviso l’attenzione si appunta proprio sul lemma “libertà” e sulla disinvoltura con cui un concetto tanto delicato e carico di ricadute è stato liquidato da chi si dovrebbe occupare dei nostri bisogni fondamentali.
Occorre dunque focalizzare il tema: un organo tecnico, fiduciario del governo, propone l’utilizzo di un dispositivo che immagazzina i dati personali e che mappa i contatti sociali del possessore, contestualmente paventando la compressione della libertà di movimento per chi riterrà di non aderire.
È ben evidente che si sia perduto ogni senso del pudore.
Sotto il profilo del metodo, infatti, si segnala sommessamente che il commissario Arcuri ha a che fare con diritti garantiti dalla Carta Costituzionale e non con la carta velina. Libertà di movimento, libertà personale, riservatezza sono diritti fondamentali ed il bilanciamento di questi con altri diritti costituzionalmente garantiti, come il diritto alla salute, è rimesso solo al Parlamento. Fa rabbrividire il pensiero che non ci si ponga il problema e che tanto improvvidamente e sfacciatamente si possa ventilare un’ipotesi del genere da parte di un organo straordinario, tecnico e di stretta fiducia dell’esecutivo. Prendendo in prestito un recente parallelismo fatto da una colonna del giornalismo italiano, neanche Chavez si sarebbe spinto tanto in là. Ma i dubbi di metodo si aggiungono a quelli di merito.
In primo luogo, proprio in virtù del concetto appena espresso, si segnala che un diritto fondamentale è comprimibile al fine di garantirne un altro, solo se non vi siano altre soluzioni che lascino intatti entrambi. In buona sostanza, se c’è una strada meno dolorosa, che non impatta sulla libertà personale in maniera così invasiva, va percorsa. Si chiama appunto bilanciamento dei diritti e spetta al Parlamento, tant’è che là dove è prevista la possibilità di limitare un diritto fondamentale vige riserva assoluta di legge. E dunque non c’è altro sistema? Non si possono immaginare test sierologici che diano contezza degli immuni? O altre soluzioni che tutelino in maniera differenziata le fasce più a rischio? Inoltre, se i soggetti più colpiti sono gli anziani, il sistema dell’applicazione su Smart phone non sembra la migliore soluzione, data la poca dimestichezza di quella fascia d’età con la tecnologia. Si aggiunge che chi ha a cuore la propria privacy e contestualmente la propria libertà di movimento potrebbe scaricare l’app ma tenere a distanza il proprio prossimo, per evitare di dare informazioni sulle proprie interazioni sociali. E così l’app diventerebbe in realtà uno strumento per un volontario distanziamento sociale. Questa induzione al distanziamento diventa controllo delle masse, insopportabile ingerenza nella sfera più intima dell’uomo e privazione di autodeterminazione. Come ha coerentemente segnalato Fratelli d’Italia sin dalle prime dichiarazioni del commissario straordinario in merito, occorre un passaggio in Parlamento che sia volto alla disamina attenta di ogni ricaduta giuridica e sociale di uno strumento all’apparenza tanto innocente ed innovativo ma che cela insidie e pericoli di proporzioni enormi. Il Parlamento sovrano ne dovrá discutere diffusamente, in un contesto dialettico che evidentemente mal si concilia con la necessità di intraprendere rapidamente la fase due, nè si può immaginare di giustificare con la necessità e l’urgenza l’introduzione del tracciamento sociale provvedendo a suon di decreti. Dunque che il Parlamento torni a garantire le libertà e le task force, dato che sono state create per trovare soluzioni tecniche rapide e non per sostituire il potere legislativo, si avventurino su altri terreni, e lo facciano in fretta, perché gli italiani devono tornare a vivere, produrre e lavorare e devono farlo da uomini liberi.