Non sembra nemmeno vero eppure anche lui, Silvio Berlusconi, ha dovuto abbandonare la vita terrena. Certo, il Cavaliere era un essere umano e mortale come tutti noi, ma dava l’impressione di saper sconfiggere anche la morte ogni qualvolta essa pareva divenire più vicina.
Era affetto da una rara forma di leucemia, che purtroppo si è rivelata fatale, ma il fondatore di Forza Italia ha affrontato, nel corso della propria esistenza, anche altri problemi di salute piuttosto seri con conseguenti interventi chirurgici, dalla prostata al cuore e sino ad una occlusione intestinale. Tuttavia, dalla sala operatoria usciva sempre ringiovanito e più forte e combattivo che mai, e si è sperato che l’indistruttibile Silvio riuscisse ad umiliare pure la leucemia, però, soprattutto per i credenti dei quali fa parte chi scrive, l’essere umano ha un punto di partenza ed uno di arrivo su questa Terra, già stabiliti dal Signore.
Oltre al corpo, sempre in grado di risollevarsi ad ogni batosta, Silvio Berlusconi aveva anche una forza mentale più che invidiabile. Molti altri al posto suo, dopo i primi acciacchi della vecchiaia e un pacemaker al cuore, avrebbero diradato gli impegni e rallentato i ritmi della vita, invece l’ex premier tornava puntualmente in sella con il classico doppiopetto scuro, talvolta senza neppure rispettare le pause di convalescenza impostegli dai medici e non accettando mai la parte del malato o quella del pensionato. Il Cav non ha mai conosciuto la pensione, anche in questi ultimi anni, e nemmeno il ruolo, diciamo così, del vecchio saggio illustre, il quale rimane perlopiù a riposo e a volte appare per dispensare qualche consiglio.
Berlusconi è stato un leader in prima linea fino a domenica scorsa e dalla stanza d’ospedale in cui si trovava ricoverato, continuava a mantenere contatti telefonici con i vertici di Forza Italia, con Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Nonostante fosse molto provato ed affaticato, ha voluto esserci, tramite un videomessaggio, anche alla convention di FI del 5 e 6 maggio scorsi, sicuramente andando contro al parere di chi lo stava curando.
Quando cadde il suo primo Governo, nel 1994, si diceva che Sua Emittenza, allora veniva chiamato anche così Silvio Berlusconi, avrebbe abbandonato presto la politica perché abituato a comandare e non a fare l’oppositore. Invece, ha saputo guidare il proprio partito e il resto del centrodestra pure in lunghe traversate del deserto alla opposizione, e in tempi recenti ha compreso e rispettato sia il ridimensionamento di Forza Italia che l’avanzata elettorale della Lega prima e di Fratelli d’Italia dopo. Sempre in prima linea con la capacità di recepire i cambiamenti.
Oggi, a parte alcuni irriducibili come Marco Travaglio, Vauro e Rosy Bindi, che amano odiare anche i morti, tutti spendono belle parole per Berlusconi, inclusa, (sic!), la Procura di Milano. Naturalmente non tutti sono sinceri ed alcuni forse, sotto sotto, la pensano come i senza vergogna de Il Fatto Quotidiano, ma non hanno l’audacia di ammetterlo. Non bisogna prendersela perché il genere umano, anche al di fuori della politica, ricorre sempre ad una sorta di ipocrisia di fronte alla morte. Lo sappiamo: quando veniamo al mondo siamo tutti bellissimi, anche se assomigliamo a Mariangela Fantozzi; quando ci sposiamo abbiamo per forza un prospero avvenire davanti a noi; quando passiamo invece a miglior vita, beh, eravamo delle gran brave persone.
Al di là dei dolenti più o meno in buonafede, Silvio Berlusconi era davvero un personaggio straordinario, difficile da imitare. Nel campo imprenditoriale non poteva essere paragonato a nessuno dei principali uomini d’affari italiani, dall’eterno rivale Carlo De Benedetti a Diego Della Valle e a molti altri.
Infatti, il Cavaliere è stato storicamente mal sopportato da un certo establishment. Egli iniziò provenendo da origini modeste, (il padre Luigi era un impiegato di banca e la mamma Rosa, alla quale Silvio fu sempre molto legato, una casalinga con un passato di segretaria presso la Pirelli). Il paragone che spesso viene fatto con Donald Trump regge fino ad un certo punto perché il papà dell’ex presidente Usa era uno dei principali immobiliaristi di New York, quindi, inserito in una posizione sociale ben diversa da quella dei genitori di Berlusconi. C’è senz’altro il punto in comune di due vittorie elettorali inaspettate e straordinarie: quella berlusconiana del 1994 e quella trumpiana del 2016.
Il Cavaliere è stato un visionario pragmatico, capace di coltivare sogni in apparenza irrealizzabili, (sovente deriso da detrattori e concorrenti, e sconsigliato con affetto da amici e familiari), e di metterli poi in pratica con enorme successo. In qualsiasi campo si cimentasse egli riusciva a trasformare le fantasie e le aspirazioni in una realtà vincente, cominciando peraltro dal nulla. Non è proprio da tutti perché in tanti possiamo essere estremamente bravi in un certo settore, ma fallimentari in altri ambiti. Berlusconi non si limitò ad essere un medio e rispettabile imprenditore edile, bensì volle andare oltre, giungendo a costruire una città nella città, la celebre Milano Due. Ebbe il coraggio di sfidare il monopolio pubblico della televisione e tutt’oggi il gruppo Mediaset costituisce uno dei più importanti poli di informazione e comunicazione d’Europa. Anni fa le reti televisive Fininvest-Mediaset suscitarono l’interesse di un magnate dell’editoria come Rupert Murdoch. Ciò che toccava Silvio Berlusconi si trasformava, se non in oro, in un qualcosa di riuscito e così fu ed è stato anche con i giornali, la Mondadori, il Milan e il Monza, ultimo a beneficiare del tocco magico berlusconiano.
In politica, ultima e importantissima tappa del suo percorso terreno, compì più di un miracolo e fu protagonista di un exploit, di una rottura dello status quo, di una discontinuità, che sono già nei libri di Storia. Scese in campo non più giovanissimo, nel 1994 aveva 58 anni, e all’insegna dello scetticismo soprattutto da parte delle persone a lui più vicine come Fedele Confalonieri e Maurizio Costanzo, per non parlare poi di Indro Montanelli con il quale ci fu una rottura mai più ricomposta. Mamma Rosa invitò il figlio a lasciare perdere, ma il Cavaliere, abituato a chiedere consigli e poi a fare comunque di testa sua, decise di andare fino in fondo con un partito dal nome e dal simbolo piuttosto semplici, ma rivelatisi immediatamente efficaci e in grado di entrare nel cuore degli italiani. Dichiarando, ancora prima della fondazione di Forza Italia e della creazione della coalizione di centrodestra, il proprio appoggio per Gianfranco Fini come candidato Sindaco di Roma, contribuì in maniera autorevole a liberare la destra politica di allora da quella ghettizzazione cosiddetta antifascista che durava da decenni.
Fini, quando decise di sfidare Francesco Rutelli nel 1993 a Roma, era ancora a capo del Movimento Sociale Italiano, che di lì a poco si sarebbe trasformato in Alleanza Nazionale. La destra italiana, proveniente dal Msi-Dn di Giorgio Almirante e poi senz’altro arricchitasi del contributo di personalità senza alcun passato missino, ha compiuto tanti passi in avanti, (e pure, dobbiamo dirlo, qualche vistoso passo indietro per errori tutti suoi), grazie a sforzi propri, ma quel coming out pro-Fini di Berlusconi del 1993 fu importantissimo.
La gratitudine espressa più volte in questi giorni di lutto da Giorgia Meloni non è soltanto di facciata e di circostanza. La destra ha espresso ministri autorevoli durante la cosiddetta Seconda Repubblica ed oggi esprime il Presidente del Consiglio, rappresentando inoltre la prima forza politica del centrodestra. Ciò si è concretizzato grazie anche alla lungimiranza berlusconiana.
Il maestro delle sfide impensabili riuscì ad aggregare in una sola alleanza la destra nazionale di Fini e la Lega Nord, federalista e autonomista, di Umberto Bossi, le quali, prima della intuizione di Arcore, non si vedevano affatto di buon occhio l’una con l’altra. Il visionario pragmatico ruppe così le uova nel paniere alla sinistra postcomunista di Achille Occhetto, che pensava, una volta liquidati sia la Dc che il Psi per via giudiziaria, di avere ormai intere praterie in cui poter scorrazzare liberamente, ma le elezioni politiche del 1994 forarono le gomme alla “gioiosa macchina da guerra” occhettiana.
Il bipolarismo italiano, per quanto imperfetto e rovinato spesso da leggi elettorali scritte con i piedi, è una realtà assodata e radicata da una trentina di anni, ossia dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi.
Dobbiamo dire, proprio per evitare quella ipocrisia umana che si manifesta dinanzi alla morte, che il quattro volte premier Berlusconi non è riuscito poi a fare diventare realtà quella rivoluzione liberale promessa sin dagli albori di Forza Italia.
I governi presieduti dal Cav cercarono di non aumentare mai il carico fiscale gravante su cittadini e imprese, ma non eliminarono le iniquità di un sistema da rivoluzionare e le storture di una burocrazia asfissiante. Anche le riforme istituzionali, nonostante fossero un tema caro al leader di Forza Italia, sono rimaste incompiute. Ci furono errori da parte dello stesso Presidente del Consiglio, tensioni, molte delle quali evitabili, messe in piedi da alcuni alleati riottosi di FI e poi, l’infame persecuzione giudiziaria costruita ai danni di Silvio Berlusconi, che impediva fatalmente una serena azione di governo. Berlusconi è stato l’italiano più processato in assoluto, a partire da quel vergognoso avviso di garanzia inviatogli durante il G7 del 1994, tanto per fargli fare una bella figura davanti ai Grandi del mondo.
La sinistra postcomunista e i poteri ad essa collusi pensavano di aver risolto tutto con la dissoluzione della Democrazia Cristiana e l’esilio tunisino di Bettino Craxi, e chiaramente non tollerarono sin da subito l’affacciarsi di un nuovo ed ingombrante ostacolo impersonato da Sua Emittenza da Arcore. Da lì partì l’aggressione delle toghe rosse, ma alla fine ha vinto lui perché è morto a testa alta, da uomo libero e circondato dall’amore di tantissimi italiani. Il centrodestra di oggi, che ha nuovamente l’onere di governare la Nazione, ha anzitutto il dovere di non disperdere il proprio tempo in liti, (lo dobbiamo a Silvio, come ha detto la premier Giorgia Meloni), e l’obbligo di portare a compimento ciò che è rimasto sulla carta, dalla riforma del fisco allo snellimento della burocrazia e sino ad arrivare ad una nuova Repubblica in cui il potere esecutivo possa godere di stabilità e legittimazione popolare, e non vi sia più il rischio di giochi di Palazzo e involuzioni circa una sana alternanza fra due distinte coalizioni.
Da credente, l’autore di questo articolo non ama gli addii e preferisce concludere con un: arrivederci Silvio!