Autonomia, per la Corte la riforma è valida: così il referendum rischia di crollare

Chi da sinistra grida alla vittoria dopo il comunicato emanato dalla Corte Costituzionale ieri pomeriggio in fatto di autonomia differenziata, probabilmente manca di una basilare formazione giuridica oppure, pur avendola, fa finta che tale decisione smantellerà il progetto del governo dichiarandolo incostituzionale. In realtà, il comunicato della Consulta non dice in nessun suo punto che l’autonomia differenziata è contro la Costituzione, partendo dal semplicissimo presupposto che il progetto è ampiamente previsto dalle stesse norme costituzionali, inserito illo tempore da un governo di unità nazionale e confermato da un forte voto popolare al referendum. Più costituzionale di così, si muore. Anche considerando che in quel governo di unità nazionale, ovviamente, comparivano esponenti della sinistra dell’epoca e che il disegno fu anche inserito nei programmi dei primi partiti post-comunisti. La sinistra dovrebbe anche guardarsi bene dal festeggiare per un motivo un po’ più nascosto: se la Corte Costituzionale non ha dichiarato l’autonomia incostituzionale (come i progressisti le avevano chiesto di fare) ma ha rinviato il testo alle Camere chiedendo di apporre alcune modifiche, non avrà più alcun senso il referendum abrogativo acclamato a gran voce con migliaia di firme raccolte. Chissà se quelli che festeggiano l’hanno capito e nascondono le loro preoccupazioni ostentando una felicità chiaramente fasulla.

Alcune modifiche, ma la legge è costituzionale

Nel dettaglio, la Corte Costituzionale, la cui decisione definitiva e commentata si avrà tra qualche giorno, si è espressa in merito alla richiesta di dichiarare incostituzionale la “legge Calderoli” dopo il ricorso di quattro Regioni: la Campania di Vincenzo De Luca, la Puglia di Michele Emiliano, la Toscana di Eugenio Giani e la Sardegna di Alessandra Todde. A questa richiesta si erano opposte, a favore della riforma, altre tre Regioni: la Lombardia, il Veneto e il Piemonte. Ieri pomeriggio è arrivata la prima comunicazione della Consulta: la riforma non può essere considerata incostituzionale soprattutto perché è già presente in Costituzione. Sarebbe una gran bella contraddizione in termini. Tuttavia, la Corte ha previsto alcuni cambiamento all’interno della legge stessa, che ne modificano il contenuto ma non certo la sua cornice che resta, come detto, integra e valida. In primo luogo, l’autonomia differenziata non potrà applicarsi per le Regioni a statuto speciale, come era previsto nel testo originale, ma soltanto per quelle a statuto ordinario, in quanto le prime già usufruiscono di ampia autonomia su determinate materie. La seconda modifica richiesta è quella in merito proprio alle materie: lo Stato potrà delegare soltanto funzioni, e non le materie. Il Governo e le Regioni, in sostanza, dovranno determine tali funzioni di volta in volta. Poi una modifica sui Lep, i livelli essenziali di prestazione che sarebbero stati garantiti a tutte le Regioni: questi non potranno essere fissati con decreti legislativi o con dpcm, con il Parlamento che potrà modificare gli accordi tra le due parti e la Corte che si riserva il diritto di abrogare le leggi di trasferimento se lo riterrà opportuno dopo un’impugnazione.

Il referendum rischia di crollare

Ora la decisione tornerà al Parlamento, al quale la Consulta ha chiesto di modificare la legge secondo questo suo indirizzo. Ma la riforma resta ampiamente in piedi: “È un passaggio storico” ha commentato al Giornale Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le Autonomie. Ovviamente, per avere maggiori informazioni si dovrà attendere la sentenza per esteso della Corte Costituzionale. Ma stando così i fatti, la sinistra non ha motivo per festeggiare: la sua richiesta di dichiarare incostituzionale la legge è caduta, e rischia di cadere anche il referendum su cui ha basato tutta la sua campagna estiva.

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