Biden vuole rimuovere Orban: in nome della democrazia, of course.

Oggi tutti i media “sparano” la notizia che l’Ucraina potrebbe subire un golpe di Putin. Lo denuncia il suo presidente. Giusto, perdinci, egli è stato eletto dagli Ucraini (anche Putin però, dai russi). Peccato che invece non abbiamo potuto leggere da nessuna parte, neppure una breve, di un’identica minaccia. Solo che al posto di Putin v’è Biden, e al posto dell’Ucraina, l’Ungheria. Il ministro degli esteri del governo di Orban, ci informa un lungo pezzo di Marton Dunai sul “Financial Times” del 26 novembre, ha infatti denunciato “interferenze” degli Stati Uniti per “rimuovere” il premier ungherese. Peter Szijjarto, il ministro, si attende contro Budapest un Magnitsky Act, cioè una procedura per imporre sanzioni a governi stranieri che non rispettano i diritti umani.

La stessa che fu promossa all’inizio dell’anno dagli Stati Uniti contro diversi esponenti vicini al premier bulgaro Burisov, contribuendo alla sua sconfitta alle elezioni. Intanto, l’Ungheria è già stata esclusa, assieme a Cina e Turchia, dal Democracy Summit organizzato dagli Usa: unico paese della Ue, un atteggiamento “irrispettoso” ha chiosato il ministro ungherese. Il quale si spiega l’atteggiamento di Biden in ragione della speciale amicizia che legava Orban a Trump.

Interpellato dal giornalista del “Financial Times”, un membro dell’amministrazione democratica statunitense ha ovviamente negato qualsiasi intenzione malevola: “noi rispettiamo la sovranità ungherese”, ha concluso l’anonimo funzionario. Sta di fatto però che mercoledì scorso, in una intervista, Hillary Clinton ha attaccato duramente Trump e i repubblicani, considerandoli la controparte Usa degli “autocrati”, categoria in cui la simpatica ex bombardatrice della Libia (e molto altro) inseriva Turchia, Brasile e quindi Ungheria. Il ministro ungherese ha citato le parole della Clinton a dimostrazione che l’ostilità di Biden verso l’Ungheria sarebbe dettata da motivi di “politica interna”.

Già, peccato che per i Democratici, da sempre, politica interna e politica estera coincidano, tanto che i loro presidenti sono specialisti nell’entrare in una guerra quando il consenso cala. Come interpretare tutto questo? Siccome siamo realisti politici anche nelle relazioni internazionali, sappiamo che gli Stati per i loro interessi e la loro sicurezza “interferiscono”. La forma della interferenza può variare, da quella ideologica a quella delle sanzioni economiche fino all’uso delle armi, in forma più o meno ibrida. Sappiamo anche che, a differenza di quanto scrivono da anni molti teorici italiani delle relazioni internazionali, gli Stati Uniti continuano a interferire sui governi europei. I nostri teorici ritengono che, dopo la guerra fredda, gli Usa non sarebbero più interessati all’Europa ma, novelli Don Ferrante, non si sono accorti che la peste si diffonde, e che questa ingerenza sull’Europa in realtà è cresciuta nel corso degli anni – forse il meno ingerente fu Clinton, per dire.

Non ci scandalizziamo. Non siamo anti americani, anzi giudichiamo l’anti americanismo una sorta di conservatorismo per gli imbecilli, che i veri conservatori dovrebbero lasciare alla estrema sinistra amante dei Chavez e dei Castro. Tuttavia sappiamo che gli Us, in quanto potenza imperiale, hanno tutto l’interesse a controllare i paesi europei, per diverse ragioni di carattere geopolitico, economico, militare. Da che mondo è mondo, l’ingerenza degli Stati è sempre giustificata con motivazioni ideali, in genere di carattere religioso. Come in questo caso contro Orban. Dove la religione non è però quella vera ma quella secolarizzata dei “diritti umani”. In questo tipo di ingerenze sono specialisti i Democratici, per i quali l’ideologia non è semplicemente una copertura legittimante; è qualcosa di concreto e “reale” come le commesse economiche.

Quindi: Orban non piace agli Usa di Biden per i legami con la Cina e con Putin. Ma la Grecia è forse più infeudata a Pechino di chiunque altro, eppure non è stata esclusa da nulla. Perché il governo vi sono i Popolari ma non mettono in discussione, come invece fa Orban, la ideologia dirittista, politicamente corretta, woke, fondata sul “differenzialismo inclusivo”, che è la base dell’odierno progressismo, a sua volta pilastro politico del globalismo. Orban è invece una minaccia per gli Usa ridiventati, come ai tempi di Obama, la Mecca del progressismo dirittista, perché dimostra che si può governare bene un paese, riscuotere consenso, farlo crescere, utilizzando un’altra politica, un’altra visione del mondo. In tal senso, per Biden, Orban è molto più pericoloso dei vari dittatori socialisti del centro-sud America: la visione del mondo dei Maduro, degli Ortega, è infatti assai più vicina a quella della sinistra americana al potere rispetto al premier magiaro e, dal punto di vista dei dem, essi sono solo compagni che sbagliano. Mentre Orban è un “nemico della libertà”.

Insomma, gli Usa faranno di tutto per impedire che egli vinca le elezioni, previste tra pochi mesi. E se sono virulenti con un piccolo (geograficamente) paese centro-europeo, chissà cosa faranno in una grande (geograficamente) nazione dell’Europa mediterranea che parte dai confini svizzeri per arrivare a poche miglia dall’Africa…

 

 

 

 

 

 

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Marco Gervasoni
Marco Gervasoni
Marco Gervasoni (Milano, 1968) è professore ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise, editorialista de “Il Giornale”, membro del Comitato scientifico della Fondazione Fare Futuro. Autore di numerose monografie, ha da ultimo curato l’Edizione italiana delle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia di Edmund Burke (Giubilei Regnani) e lavora a un libro sul conservatorismo.

2 Commenti

  1. gli USA fanno pasticci in tutto il mondo! Vedremo cosa faranno in Ungheria dove, come noto, Orban ha vinto regolari elezioni e il popolo è con lui. Non è solo neanche a livello internazionale, il suo “disegno” antimigranti è condiviso con altri 11 paesi europei. Vederemo.
    Enrico Masala

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