Le operazioni militari che Israele sta conducendo da più di un anno ormai nella Striscia di Gaza e verso il Libano, diventate necessarie e vitali dopo il sanguinoso attacco compiuto da Hamas in territorio ebraico il 7 ottobre del 2023, hanno avuto sempre il sostanziale appoggio degli Stati Uniti e di quei Paesi europei, fra i quali l’Italia, maggiormente vicini a Gerusalemme. Ma non sono mancati, al di là e al di qua dell’Atlantico, consigli, moniti e qualche rimprovero, indirizzati al premier israeliano Benjamin Netanyahu, soprattutto per quanto riguarda, pur senza dimenticare l’inalienabile diritto alla difesa, la possibile ricerca di un cessate il fuoco nel tentativo di tutelare il più possibile la popolazione civile e gli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi. D’altra parte, fra amici ci si dice tutto, nel bene e nel male, e Netanyahu non ha mai rispedito al mittente alcune preoccupazioni espresse dai governi occidentali.
Tuttavia, Israele ha voluto finora tenere duro su una linea precisa basata, non solo sulla reazione militare come inevitabile punizione da infliggere agli autori del massacro del 7 ottobre, bensì, sul perseguimento della distruzione completa o quasi di Hamas e pure di Hezbollah, visto che tale entità terroristica attiva in Libano ha approfittato sin da subito della concentrazione di forze israeliane nella Striscia di Gaza per attaccare da nord lo Stato ebraico. Per un futuro e duraturo equilibrio di pace in Medio Oriente e affinché non si ripetano più tragedie come quella del 2023, così si ritiene, più a ragione che a torto, a Tel Aviv e a Gerusalemme, i terroristi sanguinari di Hamas ed Hezbollah, foraggiati di continuo dall’Iran, devono sparire o almeno subire un drastico ridimensionamento che metta la parola fine alle loro capacità di offesa. La guerra è senz’altro un brutto affare, per la popolazione, gli inermi e i più fragili, e nelle fasi più concitate di un conflitto gli eserciti, anche quelli più preparati come l’IDF, (Israel Defense Forces), possono incorrere in errori importanti, ma con il terrorismo che uccide e comprende solo il linguaggio delle armi le alternative all’uso delle Forze Armate sono ben poche.
La cocciutaggine, se così vogliamo chiamarla, di Netanyahu ha comunque determinato negli ultimi mesi dei risultati significativi per la sicurezza di Israele e del mondo, e per il raggiungimento di un migliore equilibrio in Medio Oriente. Hamas ed Hezbollah sono state praticamente decapitate con l’uccisione dei loro capi storici e principali. L’ultimo eliminato dall’IDF è stato Yahya Sinwar, l’ultimo leader di Hamas, ucciso con altri due miliziani in una casa di Rafah, al confine meridionale della Striscia. L’edificio in cui si trovava Sinwar è stato distrutto dall’esercito israeliano con carri armati e droni. Sinwar è stato uno dei principali ideatori delle incursioni assassine di Hamas del 7 ottobre del 2023, che, non dimentichiamolo mai, hanno dato inizio a questa guerra con la morte di 1200 civili israeliani, (dovrebbero avere importanza anche i civili dello Stato ebraico e non solo quelli di Gaza), e il sequestro di circa 250 persone, sempre appartenenti alla popolazione disarmata di Israele. Salutiamo questo criminale con un bel “bye bye” e ci siamo congedati nei mesi scorsi allo stesso modo da altri figuri del medesimo stampo di Yahya Sinwar, tolti di mezzo tutti dall’IDF e senza i quali il mondo è comunque più sicuro.
Ricordiamone alcuni: Saleh Al-Arouri, numero due dell’ufficio politico di Hamas e fondatore delle Brigate Ezzedin al-Qassam, colpito da un raid israeliano il 2 gennaio; Marwan Issa, numero tre di Hamas, ucciso l’8 marzo; Fuad Shukr, comandante militare di Hezbollah, eliminato a Beirut il 30 luglio; Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas e predecessore di Sinwar, centrato da un razzo a Teheran il 31 luglio; Hasan Nasrallah, leader storico di Hezbollah, ai vertici dal 1992, caduto vittima il 27 settembre di un massiccio attacco israeliano operato alla periferia sud di Beirut. Hashem Safieddine, ritenuto il successore di Nasrallah alla guida di Hezbollah, pare sia stato ucciso anch’egli, quasi subito dopo aver preso le redini dell’organizzazione terroristica libanese, ma non vi sono ancora conferme ufficiali. Hamas ed Hezbollah non sono state ancora debellate del tutto e potrebbero riorganizzarsi, magari tramite il supporto iraniano che non è mai mancato, non a caso il premier Benjamin Netanyahu ha parlato di un impegno militare di Israele che continua dopo la morte di Yahya Sinwar, ma è indubbio che la privazione di capi storici e determinanti stia provocando smarrimento negli integralisti islamici di Gaza e di Beirut che proseguono a combattere. Sono stati inferti loro sonori colpi ed è stata fatta un po’ di pulizia in Medio Oriente, oltre a rispondere all’atto di guerra del 7 ottobre del 2023.
Non condivido questi “saluti” ai morti in guerra! Poi faccio presente che, se da una parte ci sono i boia del 7 ottobre, dall’altra c’è la “pulizia etnica” dei coloni ebrei in Cisgiordania, che ricordano esodi nostrani!