Quarant’anni senza Ezio Tarantelli. Senza questo martire del Novecento di un’Italia eternamente poco riformista, sconosciuto forse ai giovani d’oggi nonostante abbia profondamente marcato una stagione del Paese, che è la ragione poi per cui fu ucciso da quel coacervo ideologico intriso di pregiudizio e morte denominato Brigate rosse. L’economista “padre” della concertazione, che aveva lavorato in Banca d’Italia e aveva insegnato alla Cattolica, aveva 44 anni quando, la mattina del 27 marzo 1985, due assassini delle Brigate rosse gli spararono alle spalle, nel parcheggio della facoltà di Economia e commercio a Roma, a pochi passi dall’aula della sua ultima lezione. La Cisl, il sindacato a cui fu più vicino, lo ricorda stamani con un convegno all’auditorium di via Rieti a Roma.
”Ricordare Ezio Tarantelli a quarant’anni dal suo assassinio per mano delle Brigate Rosse non è soltanto un atto di doverosa memoria. È, soprattutto, una dichiarazione di impegno civile e politico. Perché il pensiero di Tarantelli, la sua visione, la sua onestà e limpidezza intellettuale continuano a interrogarci oggi, forse più di ieri. La ragione sta proprio nel ‘coraggio delle sue proposte impopuliste’ scelte come tema del vostro incontro e che si rivelarono precorritrici”. Lo sottolinea il ministro del Lavoro, Marina Calderone, in un video messaggio al convegno in memoria di Ezio Tarantelli a 40 anni dall’uccisione. ”In un’epoca in cui la politica è spesso condizionata dalla ricerca del consenso immediato, dalla reattività agli umori del presente, o addirittura del momento, Ezio Tarantelli ci ha insegnato che il compito più nobile di chi ha responsabilità pubbliche è guardare oltre. È avere il coraggio di essere impopolari, se necessario. Il coraggio di proposte che possono apparire anacronistiche, ma solo perché sono proiettate nel futuro”, prosegue Calderone. ”Tarantelli era un economista, un intellettuale raffinato e appassionato del bene comune. La sua visione delle relazioni industriali, la sua intuizione di un sistema di concertazione tra lo Stato, i sindacati e le imprese, anticipava di anni ciò che oggi riconosciamo come un pilastro della coesione sociale. Lo faceva con una forza rara: quella della scienza messa al servizio delle politiche del lavoro. Con l’ambizione, profondamente democratica, di costruire consenso attraverso la conoscenza e non con la semplificazione ideologica. La sua apertura al mondo attraverso l’insegnamento e il legame con le più avanzate scuole di pensiero economico, lo aiutò ad affrontare con lucidità e concretezza i problemi con cui si confrontava l’Italia. Rafforzò in lui la convinzione che l’Italia dovesse affrontare i propri nodi strutturali, a partire dall’inflazione e dalla rigidità del mercato del lavoro, con strumenti nuovi, razionali, condivisi”, aggiunge Calderone.
”Tarantelli credeva nel ruolo dello Stato non come attore solitario, ma come regista di una grande alleanza sociale -prosegue Calderone-. Oggi, da Ministro del Lavoro, sento fortemente la responsabilità di tenere viva questa eredità. Le riforme che abbiamo avviato – anche quelle meno popolari – rispondono a una visione: promuovere un mercato del lavoro più dinamico e inclusivo, in grado di sostenere la produttività senza sacrificare i diritti. Costruire strumenti di formazione permanente, perché l’occupabilità non sia una promessa astratta ma una realtà. Rafforzare le politiche attive, il dialogo tra le imprese, i lavoratori e le istituzioni”. ”Non sempre queste scelte incontrano il favore immediato dell’opinione pubblica. Ma la lezione di Tarantelli è chiara: la buona politica deve saper anticipare i problemi, anche a costo di andare controvento. Deve credere nella forza della proposta, nella fatica del dialogo, nella pazienza delle riforme”, aggiunge Calderone. “Ezio Tarantelli fu ucciso perché con le sue idee minava alla radice la cultura della violenza. Perché dimostrava che si può cambiare la realtà senza distruggerla. Che si può lottare contro l’ingiustizia sociale senza negare la libertà. Il suo assassinio fu un attacco alla Repubblica. Ma la sua memoria, e soprattutto il suo insegnamento, restano vivi. Soprattutto in chi continua a credere che la giustizia sociale passi dal lavoro, dalla competenza, dalla democrazia”.