Era ora! Lo abbiamo aspettato decenni, ma alla fine lo vedremo scendere da un aereo con i ferri ai polsi e probabilmente lo sguardo meno sfrontato di sempre. Gli occhi di un delinquente, un pluriassassino a cui la fortuna ha sempre sorriso, permettendogli per tanto tempo di sfuggire alla giusta punizione, non avranno forse più quella luce di sfida e di scherno. Forse, leggeremo sul suo viso che l’unico futuro su cui può ormai contare è dentro a una cella 3×4 da cui osservare il sole attraverso robuste grate di ferro: quanto è giusto per un delinquente che in realtà non è stato mai mosso da nessuna vera tensione ideologica, ma che all’epoca sfruttò anche il terrorismo per tentare di arricchirsi. La squallida storia di un piccolo uomo senza onore né dignità…
Una famiglia proletaria, quella di Cesare Battisti, operai e contadini di Cisterna di Latina dove lui nasce nel dicembre del 1954, per poi trasferirsi con la famiglia nella vicina Sermoneta, dove cresce insieme a 4 tra fratelli e sorelle. Negli anni giovanili, sulla scia delle tendenze familiari, si iscrive alla Fgci ma ne esce dopo poco. Incostante in tutto, anche a scuola, comincia il liceo classico, poi lo abbandona e inizia a vivacchiare con piccoli espedienti. E’ un giovane teppista che da subito promette di diventare un delinquente. Nel 1972, diciottenne, viene arrestato la prima volta a Frascati per una rapina. Nel 1974 fa il bis, ma stavolta i capi d’accusa oltre che la rapina registrano anche il sequestro di persona. Non sconta la pena ma riesce nello stesso periodo a beccare una denuncia per atti di libidine quando si porta nella camera d’albergo due ragazzine, di 16 e 13 anni. Perché torni in galera bisognerà aspettare il 1977 quando per l’ennesimo reato viene rinchiuso nel carcere di Udine.
Mentre è in carcere conosce Arrigo Cavallina, ideologo dei Proletari Armati per il comunismo (Pac). Battisti capisce in qualche modo che all’epoca essere “un politico” e non “un comune” offre dei benefici, soprattutto in galera, magari anche solo po’ di rispetto in più e non soltanto dagli altri detenuti, e si aggancia al carrozzone, presentando le sue rapine precedenti come “espropri proletari”, dove ovviamente l’unico proletario che ne aveva tratto vantaggio era stato lui. Furbo, mutevole, capace di dire tutto e il contrario di tutto e sempre pronto a qualsiasi cosa purché gli faccia comodo, si costruisce il personaggio “del guerrigliero ideologico” che fa decisamente una migliore impressione del rapinatore squattrinato.
Uscito di galera, si trasferisce a Milano, dove insieme ai Pac si dà un gran daffare in quella che è la sua specializzazione: rapine. Evolve rapinando anche banche, oltre che i supermercati, ma di quei tempi le formazioni di terroristi in Italia non vanno troppo per il sottile e, in più di una circostanza tra quelle che vedono Battisti tra i presenti, ci scappa il morto. Appartenenti alle forze dell’0rdine, ma anche civili finiti nel mirino di questa gentaglia che non tiene la vita umana in nessun valore. Per la precisione, Battisti si offre anche di eseguire delle sentenze che il comitato centrale de Pac ha discusso e approvato. Addirittura, in seguito, chi testimonierà contro di lui, dirà che Battisti viene incaricato di dare degli avvertimenti, ma lui si trasforma in giudice e giuria e preferisce eseguire sentenze di morte.
Negli anni che seguono, Battisti si allontana dai Pac, o almeno così dice, sostenendo di aver deciso di abbandonare la lotta armata in seguito al disgusto che suscitò in lui – anima candida – l’omicidio di Moro e della sua scorta. Secondo le sentenze, invece, sarebbe rimasto fino al 1979 nei PAC, quando, nell’ambito di un’operazione antiterrorismo di vaste proporzioni, Battisti venne arrestato e condannato in primo grado (unico processo in cui non fu contumace) a 12 anni per possesso illegale di armi da fuoco e banda armata con aggravante di associazione sovversiva, nell’ambito del processo per l’omicidio del gioielliere Pierluigi Torregiani, ucciso il 16 febbraio 1979.
Nell’ottobre del 1981, Battisti riesce ad evadere e a riparare in Francia. Sarà condannato in contumacia nel 1985 (sentenza confermata dalla Cassazione nel 1991) perché giudicato responsabile di quattro omicidi e di vari altri reati. Viene anche condannato all’ergastolo con sentenza della Corte d’assise d’appello di Milano nel 1988 (sentenza divenuta definitiva in Cassazione nel 1993), per omicidio plurimo, oltre che per i reati di banda armata, rapina e detenzione di armi. Negli anni, sette processi ne hanno dichiarato la colpevolezza in maniera definitiva.
Ma a Battisti poco importa. In Francia ha amici e aiuti, ci rimane tranquillo per qualche tempo fino a quando non fugge in Messico e vive a Puertro Escondido fino al 1990. Torna in Francia quell’anno. Secondo la dottrina Mitterrand, il paese d’oltralpe offre rifugio a tantissimi terroristi ricercati come lui, e Battisti che si è messo a scrivere romanzi gialli, ritrova la rete di aiuti e amicizie tra chi è già riparato lì e gli stessi francesi vicini all’ideologia della sinistra più estrema. In tutto questo, a seconda del colore dei governi che si avvicendano da noi, viene chiesta con maggiore o minore convinzione la sua estradizione, sempre rifiutata, come ad esempio nel 1991, dopo 4 mesi di detenzione sul suolo francese, quando la Chambre d’accusation di Parigi lo ritiene non estradabile.
Con l’avvento di Chirac, decade la “dottrina Mitterrand”, e Battisti capisce subito che la pacchia per lui sta per finire. Così, come ha già fatto altre volte, il delinquente fugge e fa perdere le tracce. Alla fine gli riesce di raggiungere il Brasile dove decide di fermarsi. Lì il 13 gennaio del 2009 gli viene accordato lo status di rifugiato politico, come se fosse stato condannato per questioni ideologiche e non per omicidi legati a delle rapine e a vari omicidi. Continua così in un estenuate tira e molla che va avanti per anni, con il Brasile di Lula e compagnia deciso a volere aiutare ad ogni costo “l’amico” terrorista e comunista.
Alla fine, come Dio vuole, anche l’epoca dei comunisti in Brasile finisce, In ottobre il candidato alla presidenza Jair Bolsonaro promette in caso di vittoria l’estradizione di Battisti. E, in effetti, Bolsonaro vince ma Battisti, sempre grazie alla fortuna e alla furbizia che l’hanno sempre aiutato, è già da tempo uccel di bosco. Stavolta però, dura poco. Sulle sue tracce non solo uomini dell’intelligence brasiliano ma anche funzionari dei servizi italiani che, finalmente lo bloccano insieme all’Interpol. Era a Santa Cruz, in Bolivia. Al momento dell’arresto indossava un berretto anche barba e baffi finti e si nascondeva dietro a occhiali scuri. Non sono serviti. Adesso resta solo da attendere il suo arrivo e poi… buttare la chiave.