Dario Musso da ieri sarebbe a casa e ora occorrerà chiedere conto di quanto è accaduto nei giorni scorsi.
Il 2 maggio scorso il ragazzo di Ravanusa era sceso in strada e dall’interno della sua auto, con un megafono, aveva iniziato a rivolgersi alla popolazione affermando l’inesistenza della pandemia e manifestando dissenso per le misure restrittive. Fermato e circondato dalle forze dell’ordine veniva fatto scendere, veniva bloccato, ammanettato e sedato, per essere poi trasportato all’ospedale psichiatrico di Canicattì, sulla base dell’ordinanza del sindaco con cui veniva disposto il TSO.
Le terribili scene venivano documentate sia dallo stesso Musso, che in un video caricato su youtube dava conto, con dovizie di particolari, del momento in cui i carabinieri lo fermavano, sia da alcuni residenti, che avevano ripreso proprio il momento in cui al giovane costretto e ammanettato veniva iniettato il sedativo .
Le immagini sono un pugno nello stomaco, difficili da commentare senza trasporto e quello che più lascia sgomenti è la violenza con cui il giovane viene “contenuto” dai carabinieri e dal personale sanitario.
Dal video girato pochi istanti prima dell’esecuzione del TSO, il ragazzo appare compos sui, sembra padrone di se stesso e nel pieno delle sue facoltà mentali, ciò che lascia non poche perplessità sulla legittimità dell’ordinanza del Sindaco.
La Legge impone che per disporre un TSO ci debba essere parere motivato di un medico che attesti uno stato di alterazione, che il trattamento obbligatorio avvenga nel rispetto della dignità dell’interessato e dei suoi diritti civili e politici, infine occorre tentare di concordare con l’infermo misure alternative e garantirgli di comunicare con chi ritenga opportuno.
Da quanto è emerso in questi giorni, a Ravanusa non pare sia andata così.
Il fratello di Musso è avvocato, penalista, ed ha denunciato il fatto gravissimo di non aver potuto comunicare con lui se non quattro giorni dopo. La telefonata, registrata, dà la misura dello stato di prostrazione del giovane, che appariva molto provato e evidentemente alterato: “Mi hanno chiuso nelle braccia e nelle mani”, così descrive confusamente la sua degenza. Le parole del fratello nei giorni successivi sono durissime, descrivono una situazione agghiacciante, un’ordinanza motivata solo sulla base di un non meglio precisato “scompenso psichico” e nessuna valutazione dell’infermo da parte di chi ha disposto il trattamento. Racconta di un uomo legato mani e piedi, cateterizzato e senza possibilità di comunicare con l’esterno.
Il fratello lo descrive come un uomo forse sopra le righe, ma dalle sorprendenti capacità morali e dalle straordinarie risorse intellettuali, pienamente capace di intendere e di volere e chiede giustizia, così come un avvocato sa e deve fare.
Ma in uno Stato libero si può assistere silenziosi a questi abusi? Dario manifestava liberamente il suo pensiero, ed è stato braccato. Dario dava sfogo all’esasperazione gridando il suo dissenso ed è stato addormentato e tradotto in un reparto di psichiatria. Cosa è successo a Ravanusa? Il TSO è stato usato come strumento di controllo sociale? E’ stato posto in essere un atto di forza per seminare terrore? C’è stata superficialità o delirio di onnipotenza? Sono stati evidentemente violati tutti i diritti fondamentali della persona, peraltro in un momento delicato, in cui la tensione sociale e individuale è ai massimi storici e le domande rispetto alla legittimità della sospensione dei diritti costituzionali da parte del governo sono quotidiane.
E dunque che un Sindaco e tutti coloro che sono intervenuti in questa faccenda si siano sentiti in diritto di calpestare così palesemente la libertà personale di un libero cittadino preoccupa, perché è il segno che dai territori forse si inizia a percepire l’esercizio del potere in modo distorto. E in questo si intravede la responsabilità di chi dà esempi negativi e in prima serata afferma con disinvoltura che i diritti sono dal Governo “concessi”, e il loro esercizio “consentito” per decreto.
La lente attraverso la quale guardiamo il mondo si è deformata in questo tempo folle, un tempo in cui la paura paralizza spesso anche i più tenaci e funziona in maniera assai efficace come mezzo per scoraggiare eventuali reazioni. Dunque insistere sulla paura del popolo è ancora più odioso, offensivo e lede non solo l’individuo, ma tutta la collettività, già deprivata a sufficienza della propria dignità. Del merito di questa scioccante faccenda si occuperanno i tribunali, a noi resta invece il dovere di chiederci se vogliamo dare un segnale di risveglio delle coscienze e se vogliamo tornare ad essere uomini liberi, liberi anche di sbagliare.