In realtà già circolava da diverse settimane, ma è proprio oggi, cinque anni fa, che fu scoperto il primo caso di Covid in Italia. La provincia di Lodi, l’alta Lombardia. Codogno e la prima zona rossa d’Italia. Il resto della Nazione continuava la sua vita normalmente, o quasi. C’erano le prime avvertenze, consigli sul distanziamento sociale, prima un metro, poi diventano due. Qualcuno inizia a indossare le mascherine, quelle chirurgiche, ma è ancora soltanto un’avvertenza: anche l’Oms dice che sono inutili, salvo fare dietrofront poche settimane dopo, sottolineando peraltro che quelle chirurgiche sono troppo deboli, meglio le FFP2. L’Italia è stata forse il primo epicentro, le ricostruzioni raccontano che il virus sarebbe sbarcato dalla Cina in Germania, per poi arrivare al Nord Italia.
Alert: non è un racconto fantascientifico
Impreparazione e improvvisazione. Scusabili (forse sì, forse no) soltanto per i primi giorni. Tra i primi casi e la chiusura totale di marzo passano diverse settimane. In quel lasso di tempo, la sinistra al governo sottovalutò tutto. Tanto da dedicarsi a tempo pieno alla campagna “abbraccia un cinese”: l’unico timore, insomma, era evitare le discriminazioni, mentre centinaia di persone iniziavano ad ammalarsi. Cambiò volto nel giro di pochi giorni e vestì i panni della responsabile. Chiuse in casa milioni di italiani, si arrogò il diritto di decidere quali fossero le attività essenziali serrando le saracinesche di quelle non essenziali, proibì anche il jogging all’aperto, da soli, con i sindaci dei vari Paesi che, in diretta social, inseguivano i pochi malcapitati che scendevano di casa per far defecare i propri cani. Troppi i lavoratori licenziati, troppa l’attesa per la cassa integrazione.
Ogni due settimane, quel lockdown veniva prolungato. Fino ai primi giorni di maggio. Dopo esserci sbizzarriti ai fornelli, con lievito e impasto, e dopo numerose ricerche sulla qualità dell’aria migliorata e sul cinguettio degli uccelli meno forte per via del minore inquinamento acustico, uscimmo a riveder le stelle. Sembrava finita. Sembrava, appunto. Perché dopo l’estate, il ciclone (non quello di Pieraccioni) tornò più forte di prima. Ci si attrezzò meglio, non certo negli ospedali, dove respiratori e posti in terapia continuarono a scarseggiare, ma con bollettini e dirette social, quelle classiche del venerdì del governatore campano Vincenzo De Luca, che minacciava con i lanciafiamme chi osava festeggiare la sua laurea. L’Italia fu divisa in zona gialla, zona arancione, zona rossa; alla Sardegna, per qualche giorno, il lusso della zona bianca, priva di coprifuoco. Fu il turno dei green pass, lasciapassare che permettevano l’accesso a determinate attività. Divenne una sorta di status: se non avevi il green pass, non eri nessuno. Tipo girare a via Monte Napoleone in un’utilitaria. Lo potevi ottenere o con un tampone negativo o con il vaccino, sponsorizzato con una campagna pessima, fatta di primule (spese inutili come i banchi a rotelle) e slogan pessimi, con dosi ancora in via di sperimentazione somministrate anche a giovani e, talvolta, a bambini.
Oggi la commissione d’inchiesta fa luce sui disastri di Conte e compagni
Siamo sicuri che se ognuno di noi avesse letto una tale cronistoria prima del 2020, scambierebbe il nostro giornale per una sorta di rivista fantascientifica. Invece è stato realtà, tutto è accaduto nel modo in cui l’abbiamo raccontato, con un pizzico di drammaticità in più. A distanza di anni, Fratelli d’Italia ha lottato per l’istituzione di una commissione d’inchiesta, per indagare sui fatti più importanti che caratterizzarono quei mesi di totale improvvisazione da parte di chi, in diretta tv a reti unificate, accusava i (pochi) partiti di opposizione di fare disinformazione e di irresponsabilità. Ed è sembrato subito un segnale chiaro, chiarissimo, il fatto che, chi si trovò a governare in quei mesi, abbia tentato fino all’ultimo di ostacolare l’istituzione della commissione. Le inchieste, ora, proseguono da settimane, ininterrotte, e stanno facendo sempre più luce su quei fatti. C’è il giallo delle mascherine cinesi inefficaci e nocive che, secondo quelle che sono ancora tutte ipotesi, sembra essere in qualche modo legato e consequenziale alla vicenda della Jc Electronics, che sarà risarcita di 203 milioni di euro dalla Presidenza del Consiglio (quindi da tutti noi) perché qualcuno decise di stracciare il contratto, già valido, stipulato con l’azienda laziale per la fornitura dei dispositivi di protezione individuale. È venuto fuori che si conosceva benissimo l’inefficacia delle mascherine acquistate altrove, ma si decise di tacitare tutto per una sorta di ‘necessità politica’. E allora chi tentò di denunciare, finì per subire mobbing. Una voce fuori dal coro da fermare. Ora quelle voci non sono più isolate e possono riconoscersi nei lavori di una commissione d’inchiesta impegnata a scovare i misteri di uno dei periodi più bui della nostra storia repubblicana.