Covid. La farsa della missione OMS in Cina – Parte II

Continua dalla prima parte consultabile qui

Che informazioni ha trasmesso la Cina al resto del mondo all’inizio della pandemia? Sul sito dell’OMS, il 12 gennaio 2020 si legge: “L’11 e il 12 gennaio 2020, l’OMS ha ricevuto ulteriori informazioni dettagliate dalla Commissione sanitaria nazionale sull’epidemia. L’OMS è rassicurata della qualità delle indagini in corso e delle misure di risposta attuate a Wuhan e dell’impegno a condividere regolarmente le informazioni. Le prove sono altamente indicative che l’epidemia sia associata a esposizioni in un mercato ittico a Wuhan. Il mercato è stato chiuso il 1 ° gennaio 2020. In questa fase, non vi è alcuna infezione tra gli operatori sanitari e nessuna chiara evidenza di trasmissione da uomo a uomo. Le autorità cinesi continuano il loro lavoro di sorveglianza intensiva e misure di follow-up, nonché ulteriori indagini epidemiologiche. Tra i 41 casi confermati, c’è stato un decesso. Questa morte è avvenuta in un paziente con gravi condizioni mediche di base. Il 12 gennaio la Cina ha condiviso la sequenza genetica del nuovo coronavirus, che sarà di grande importanza per altri paesi da utilizzare nello sviluppo di kit diagnostici specifici. Il cluster è stato inizialmente segnalato il 31 dicembre 2019, quando è stato informato l’Ufficio nazionale cinese dell’OMS. Le autorità cinesi hanno identificato un nuovo tipo di coronavirus (nuovo coronavirus, nCoV), che è stato isolato il 7 gennaio 2020. Sono stati condotti test di laboratorio su tutti i casi sospetti identificati attraverso la ricerca attiva dei casi e la revisione retrospettiva. Altri patogeni respiratori come influenza, influenza aviaria, adenovirus, coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV), coronavirus della sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS-CoV) sono stati esclusi come causa. Secondo le informazioni trasmesse all’OMS dalle autorità cinesi l’11 e il 12 gennaio, 41 casi con nuova infezione da coronavirus sono stati diagnosticati in via preliminare nella città di Wuhan. Dei 41 casi segnalati, sette sono gravemente malati. Al momento è stato segnalato un unico decesso, di cui sopra, in un paziente con preesistenti condizioni di salute. Sei pazienti sono stati dimessi dall’ospedale. L’insorgenza dei sintomi dei 41 casi confermati di nCoV varia dall’8 dicembre 2019 al 2 gennaio 2020. Non sono stati rilevati ulteriori casi dal 3 gennaio 2020. […] Secondo l’indagine epidemiologica preliminare, la maggior parte dei casi ha lavorato presso o erano gestori e visitatori frequenti del mercato all’ingrosso di pesce di Huanan. Il governo riferisce che non ci siano prove chiare che il virus passi facilmente da persona a persona. Attualmente, nessun caso di infezione di questo nuovo coronavirus è stato segnalato altrove oltre a Wuhan“.

Ripercorriamo le fasi iniziali: il 18 gennaio 2020 la città di Wuhan ospitò un banchetto dove parteciparono decine di migliaia di persone; in contemporanea, milioni di persone si misero in viaggio per le celebrazioni del capodanno lunare. Il presidente Xi Jinping avvertì il pubblico del grave rischio sanitario solamente il 20 gennaio, ma a quel punto la trasmissione del virus era già fuori controllo. Il ritardo accumulato dal primo Paese ad affrontare il nuovo coronavirus è giunto in un momento critico: l’inizio dell’epidemia. Questo ritardo si è infatti sommato a quasi due settimane di silenzio, durante le quali il Centro nazionale per il controllo delle malattie (CDC) cinese non ha registrato alcun caso da parte di funzionari locali: eppure durante quel periodo, dal 5 gennaio al 17 gennaio, centinaia di pazienti si sono presentati negli ospedali non solo a Wuhan ma in tutto il Paese. Prima del 20 gennaio scorso, nonostante la situazione apparisse sempre più grave anche per le autorità cinesi, anche i funzionari dell’OMS iniziarono a lamentare la scarsa trasparenza della Cina, tra cui il direttore delle emergenze dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Michael Ryan.

Siamo al 28 gennaio 2020, quando dopo la visita a Pechino del direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Gebreyesus, la Cina accettò l’invio di una squadra dell’Oms per un’ispezione e solo il 30 gennaio 2020, l’OMS dichiarò l’emergenza sanitaria internazionale, esprimendo “rispetto e gratitudine” verso la Cina per l’impegno “incredibile” nel limitare la diffusione del nuovo coronavirus. Iniziano a questo punto le accuse che l’ex-presidente Trump rivolge verso l’OMS. A questo ritardo della comunicazione, si somma anche il dubbio sulle origini del coronavirus, che in una fase particolarmente confusionaria e priva di certezze, ha portato più di un interlocutore a domandarsi se fosse di origine animale o causato da un errore umano.

Arriviamo ad un passato recente, che ha dell’incredibile: la narrazione cinese secondo cui il Paese ne è uscito vincitore, anzi, loro sono vittime di un virus che va ricercato altrove. Non è fantascienza, ma dichiarazioni riportate puntualmente da un articolo della BBC. Citiamo testualmente le parole dell’inviato in Cina per la BBC del 23 gennaio 2021:

Wuhan si è ripresa da tempo dalla prima epidemia di Covid-19 al mondo. Ora viene ricordato non come un disastro ma come una vittoria, insistendo sul fatto che il virus provenisse da qualche altra parte del mondo, ma non da qui.

Dal momento in cui un nuovo coronavirus di carattere pandemico è emerso nella stessa città come laboratorio dedicato allo studio di nuovi coronavirus con potenziale pandemico, la professoressa Shi Zhengli si è trovata al centro di una delle più grandi controversie scientifiche del nostro tempo. Per gran parte dello scorso anno ha negato con rabbia la possibilità che il Sars-Cov-2 potesse essere scappato dall’Istituto di virologia di Wuhan con rabbiosa negazione. Ora, però, lei ha esplicato il suo pensiero su come potrebbe aver preso avvio l’epidemia iniziale nella città. In un articolo nell’edizione di questo mese di Science Magazine, [la professoressa Shi Zhengli, ndr] ha fatto riferimento a una serie di studi che, come riporta, suggeriscono il fatto che il virus esistesse al di fuori della Cina già prima del primo caso noto di Wuhan nel dicembre 2019. [La professoressa, ndr] Ha scritto che “dato il ritrovamento di Sars-Cov-2 sulla superficie di imballaggi alimentari importati, il contatto con cibi crudi contaminati potrebbe essere un’importante fonte di trasmissione di Sars-Cov-2”.

Da uno dei massimi esperti mondiali sui coronavirus, anche la discussione su tale possibilità sembra insolita. È davvero possibile che un focolaio di infezione che ha quasi distrutto il sistema sanitario di Wuhan, innescato il primo blocco Covid al mondo e generato una catastrofe globale, sia arrivato tramite il cibo importato senza alcun segno di epidemie altrettanto devastanti altrove?

Ma con la sconfitta del virus, l’idea che si tratti di un’importazione straniera si ripete con quasi unanimità in questa città di 11 milioni di persone. “È arrivato qui da altri paesi”, mi dice una donna che gestisce una bancarella di hotpot in una strada trafficata. “La Cina è una vittima”. “Da dove proviene?” il pescivendolo della porta accanto ripete ad alta voce la mia domanda e poi risponde: “È venuto dall’America“.

L’articolo continua con dei risvolti ancora più incredibili:

“Invece di pubblicare le proprie prove, però, la Cina sembra adottare un approccio che individua l’origine del virus ovunque tranne che a Wuhan, con i media statali che sostengono l’idea che il virus possa essere arrivato a Wuhan su importazioni di cibo congelato o parlando in modo criptico di “origini multiple”.

In una recente conferenza stampa quotidiana, ho chiesto al portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, perché tali narrazioni fossero state promosse in assenza di prove scientifiche reali. “La tua domanda rivela il tuo pregiudizio contro la Cina”, ha risposto. “Dall’Australia, dall’Italia e da molti altri paesi sono emersi rapporti secondo cui il coronavirus è stato trovato in più luoghi nell’autunno del 2019″. “Non sono queste delle prove?” mi chiese.

Non secondo Alina Chan, che mi ha detto che tali studi “mancano di convalida” e alcuni sono stati condotti senza “i controlli più elementari”. Afferma infatti che “Non presentano prove scientifiche convincenti che il virus stesse circolando al di fuori della Cina prima dell’epidemia di fine 2019 a Wuhan”. “I primi casi rilevati e l’epidemia sono stati a Wuhan. Si è scoperto che i primi casi al di fuori della Cina provenivano da Wuhan. I virus più simili sono stati trovati all’interno della Cina“.

È interessante notare che gli scienziati che furono in forte disaccordo sulla veridicità della teoria della fuga da laboratorio, si trovino improvvisamente molto allineati sul fatto che il virus provenga dall’estero.

Non trovo credibili i dati che collegano Sars-Cov-2 ai cibi congelati“, mi ha detto Kristian Andersen, professore di immunologia e microbiologia presso lo Scripps Research Institute negli Stati Uniti“.

La propaganda cinese è la seguente: hanno tutti attaccato la Cina per un anno, ora ci sono moltissimi dubbi circa l’origine del virus. Anzi, forse è proprio colpa degli Stati Uniti, o di qualche altro Paese occidentale (magari anche l’Italia), che sono noti consumatori di pipistrelli e pangolini, rigorosamente venduti vivi nei wet market.

La realtà è profondamente diversa da quella che il governo cinese vuole raccontare a se stesso e al mondo, ma sarebbe doveroso, a questo punto della pandemia, che l’OMS e la Cina iniziassero a collaborare seriamente con il resto del mondo scientifico. Lo devono agli scienziati, agli operatori sanitari, ai volontari, ai malati di Covid-19 e alle famiglie che hanno perso un proprio caro, tutti impegnati nella stessa battaglia per sconfiggere un nemico comune. Nessuno sta cercando un colpevole, perché la ricerca è concentrata sulla cura.

Ma se il governo cinese dovesse continuare a confondere le prove, cercare fantasiose narrazioni e ostacolare il lavoro degli esperti, allora sì che a quel punto sarà colpevole: per non aver fatto nulla per impedire la pandemia e per non aver fatto nulla per portarla a conclusione.

Una colpa, però, è inconfutabilmente addossabile alla Cina, al di là della pandemia: gli standard igienici inesistenti e le sofferenze che infligge agli animali selvatici e domestici, non ultimo l’ignobile festival della carne di cane, che a dirla tutta, si celebra anche in molti Paesi dell’Asia meridionale. La natura, prima o poi, presenta il conto. Questo è stato particolarmente salato.

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