Luciano Canfora, filologo, grecista, classicista, con una carriera di tutto rispetto nel mondo accademico e la tessera, fieramente posseduta, del Partito Comunista. Comunista incallito, uno di quelli che, forse, non sarebbe stato così inorridito da una dittatura sovietica in Italia. Si definisce internazionalista e stalinista: “L’opera di Stalin è stata positiva, anche se aspra, per la Russia al contrario di quella di Gorbaciov”, ipse dixit nel 1994. In tempi più recenti, nell’aprile del 2022, quando Giorgia Meloni non era ancora diventata Presidente del Consiglio, Canfora, durante un convegno al liceo scientifico Fermi di Bari, la additò come una “neonazista nell’animo”. Per questo si beccò la querela da parte dell’attuale premier e tra pochi giorni si svolgerà la prima udienza. A distanza di quasi due anni, Canfora sfrutta un’intervista a La Stampa non per tornare sui propri passi, per chiedere scusa alla premier, per ammettere di aver esagerato. Certo che no: Canfora rincara la dose e dice che “posso solo ripetere quel che ho detto e perché l’ho detto”. Almeno apprezziamo l’onestà intellettuale: una frase diffamatoria (lo diranno i giudici) deve essere difesa fino in fondo.
Torniamo seri: Canfora propone un ragionamento del tutto personale a base della sua esternazione, che riesce a comprendere solo lui: “Meloni discende dal Movimento sociale, un partito che si riferiva alla storia della Repubblica sociale, cioè a uno stato satellite del Terzo Reich”. Come se dovessimo prendercela col PD perché discendente da quel PCI che negò i fatti delle foibe (ammesso che oggi il PD non faccia nulla per ostacolarne la memoria). Nella sua litania anti-meloniana, Canfora inserisce anche Tocqueville, citandolo per asserire che la leader di Fratelli d’Italia avrebbe in sé una pulsione contraria alla democrazia. E poi se la prende con Meloni perché “come noto fatica a definirsi antifascista”.
Il solito: professori ideologizzati ai cui sproloqui gli studenti devono sottostare. Altro che pluralismo. È il caso, ad esempio, di Donatella Di Cesare, la professoressa della Sapienza che su X ha ricordato la brigatista Barbara Balzerani con tanto di richiamo nostalgico al suo nome di battaglia (“Compagna Luna”) e seguente appoggio da parte di un gruppo di studenti di estrema sinistra, anche questo condiviso sui social. O ancora è il caso di Christian Raimo, insegnante che a L’aria che tira ha inneggiato alla violenza contro i neonazisti: “Vanno picchiati”, ha detto nell’imbarazzo dei presenti in studio. O ancora Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, che dal Fatto Quotidiano ricorda che a nessuno debba essere “negato il diritto di parlare”. A nessuno, tranne a “chi si professi fascista”, richiamando una presunta “eccezione imposta dalla Costituzione”: eccezione inventata da Montanari, dato che il fascismo è richiamato nel Testo solo quando vieta la riorganizzazione del partito fascista. Poveri, allora, gli studenti, costretti a subire – Dio solo sa quante volte al giorno – le prediche dei loro docenti.