Il periodo di Quaresima, che stiamo attualmente vivendo e che, religiosamente parlando, precede la Pasqua, nel rito romano comincia con il Mercoledì delle ceneri. Per il rito ambrosiano invece, in vigore nell’arcidiocesi di Milano e in alcune di quelle vicine, l’inizio è spostato in avanti di quattro giorni. Tale scansione liturgica riguarda ovviamente anche il Carnevale, che precede le celebrazioni quaresimali: quello Ambrosiano infatti, ricchissimo di particolarità, si conclude il sabato successivo al “martedì grasso” celebrato con eventi e dolci in tutta Italia.
Al Carnevale Ambrosiano si legano storie e leggende popolari riguardanti il patrono della città meneghina, Sant’Ambrogio. Secondo alcuni il carnevale milanese, che all’epoca del santo (IV secolo) era molto rinomato, si era protratto di alcuni giorni per attendere il rientro del vescovo da un pellegrinaggio. Di tale racconto si sono diffuse due varianti: una vede la gente approfittare dell’assenza del prelato per prolungare i festeggiamenti, l’altra il futuro santo chiedere di aspettarlo per iniziare le celebrazioni quaresimali. Un’altra storia vuole invece che una volta il periodo fosse coinciso con il termine di una pestilenza, che aveva costretto la popolazione alla fame e all’isolamento: proprio per questo Ambrogio aveva chiesto al Papa una dispensa speciale per prolungare i festeggiamenti. “Quello che storicamente è certo – si legge su Famiglia Cristiana – è che il carnevale ambrosiano aveva attirato l’attenzione di Carlo Borromeo, che da vescovo di Milano non vedeva di buon occhio il prolungarsi della festa. Ma neppure la maggior severità della Chiesa postridentina è riuscita a modificare la tradizione esclusiva della città”.
Quanto al tipo di celebrazioni, mentre nel Medioevo il Carnevale Ambrosiano viene descritto come un po’ grossolano e licenzioso, con eventi come “la festa dei folli” (in cui si capovolgeva l’ordine costituito trasformando appunto i folli in re e si dava corso a bagordi in cui si prendevano in giro senza freni quanti facevano parte dell’alta società), nel Rinascimento si passa ad una maggiore raffinatezza, con cortei in costume e carri. E’ però nel periodo Barocco (Seicento) che la manifestazione arriva al suo massimo splendore ed eleganza, con la comparsa delle maschere regionali della Commedia dell’Arte, tra cui le più celebri: Cecca e, soprattutto, Meneghino. Il suo nome deriva dal diminutivo dialettale di Domenico (Domeneghin) ed era il servitore che la domenica accompagnava le nobildonne milanesi a messa o a fare una passeggiata in carrozza. Era, si legge su Focus, “un servo spiritoso e di buon senso che si burla dei difetti dei nobili e non fugge quando deve schierarsi a fianco del suo popolo. Durante l’insurrezione delle Cinque giornate di Milano, nel 1848, fu infatti scelto dai milanesi come simbolo di eroismo e rappresentante della città per le sue virtù”. Anche per questo i milanesi, in suo onore, vengono chiamati “meneghini”.