Nel corso del panel dal titolo “Dalla trattativa Stato-mafia all’arresto di Messina Denaro: aspetti giuridici e politici”, tenutosi nell’ambito dell’evento di Fdi “Parlate di Mafia”, sono stati molti gli spunti portati dagli autorevoli ospiti presenti.
Il filo conduttore: la correlazione che deve necessariamente esistere tra il lavoro della giustizia e della polizia con l’operazione che va fatta a livello sociale e culturale.
Un lavoro, quest’ultimo, che deve essere portato avanti dal mondo della politica e delle istituzioni, in modo da intervenire sul tessuto della società, per poterla sensibilizzare sulla lotta alla mafia e renderla più consapevole dei rischi sottesi alle azioni della criminalità organizzata.
Perché non è vero che la mafia non esiste più, anzi forse “la mafia non uccide più, non fa più stragi, ma diventa più pericolosa” essendoci “una sorta di normalizzazione del fenomeno”, per cui la mafia non cerca morti, ma alleati. “Li cerca nell’imprenditoria, nella burocrazia, nella politica, e tende ad essere sempre più invisibile”, ha sottolineato il Ministro per la Protezione civile e per le Politiche del Mare Nello Musumeci. “La Mafia non va normalizzata, ma va combattuta con le lotte poliziesche e giuridiche ma anche affermando e diffondendo consenso” – ha aggiunto, fornendo alcune coordinate da seguire: “Bisognerà intervenire per consentire un più lungo periodo di commissariamento, per allontanare la burocrazia dai centri mafiosi rendendola irraggiungibile alla criminalità, revisionare la commissione sui beni confiscati, evitando che queste opere vengano lasciate in uno stato di abbandono duraturo”.
La mafia è cambiata, e quindi occorre cambiare anche l’approccio nei suoi confronti. Un approccio che deve essere “irreprensibile”, come più volte ribadito dal Presidente della Commissione Antimafia Chiara Colosimo, che ha inoltre sottolineato con forza: “Dobbiamo essere irreprensibili e avere il coraggio di andare fino in fondo. Laddove anche uno dei nostri più cari amici dovesse scendere su piani pericolosi, dobbiamo considerarlo il nostro primo nemico. È impossibile immaginare che chi serve la nazione serva anche qualcun altro. Ai partiti servirebbero più strumenti, soprattutto nei Comuni, per sapere chi si ha davanti. Nessun cedimento.”
Cambiare l’approccio, ma non solo. Serve cambiare l’intera narrazione, ribaltandola, non raccontando più degli eroi negativi, romanzando la vita criminale, ma raccontando gli eroi positivi, tutti quelli che hanno perso la vita per dirci che non dobbiamo arrenderci.
Ad arrendersi devono essere, al contrario, i figli, nipoti e parenti dei mafiosi, che per l’appunto “devono arrendersi allo Stato, che vanno esclusi dal mondo del lavoro per completare le finalità del 41bis”, come ha detto il capitano ‘Ultimo’, nome di battaglia di Sergio De Caprio, ex ufficiale dell’Arma dei carabinieri, che arrestò Totò Riina nel ’93.
Le conclusioni della mattinata sono state affidate al Sottosegretario al Ministero della Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, che ha voluto ricordare come l’Italia nella lotta alla mafia sia un esempio a cui guarda tutto il mondo: “Il carcere duro è un modello che il mondo ci invidia e ci chiede come funziona. Così come il modello delle confische, che sulla scia di quello che ha suggerito Falcone, aggredisce ciò che sta più a cuore ai mafiosi”. Ovvero il denaro, che rende i mafiosi “patologici”, tanto da farli vivere “sottoterra come topi” pur di salvaguardare ciò che riescono ad ottenere tramite le loro azioni criminali.
Durante il suo intervento Delmastro ha inoltre risposto alle polemiche che da tempo ruotano attorno a lui, sul 41 bis e sulle misure ‘eccessive’ (come ha detto qualcuno) che vengono riservate ai boss e a tutti coloro che sono nell’orbita mafiosa: “Quando Cospito decise scientemente con la criminalità organizzata di proseguire la guerra volta a far venire giù il carcere duro e gli altri diventavano vittime inconsapevoli del meccanismo infernale che ha coinvolto politici, uomini di cultura e giornalisti, qualcuno come me e l’amico Giovanni Donzelli ha intravisto tutto ciò e ha osato anteporre il proprio petto. Quel qualcuno è finito processato e tutti gli altri no. L’abbiamo fatto in modo consapevole, perché se non l’avessimo fatto non saremmo potuti essere qui oggi”, aggiungendo anche che “la guerra che criminali come Cospito stanno portando avanti per eliminare il carcere duro va rinnegata, consapevoli che in caso contrario si disonorerebbe l’eredità di eroi come Borsellino.”
Sono questi eroi che vanno raccontati, onorati e rispettati, senza farne mai sbiadire il ricordo: “Noi onoriamo i nostri eroi, come Paolo Borsellino. I nostri eroi sono quelli che sanno prevedere e che forniscono alla nostra comunità quegli strumenti che rendono autonoma e libera la nostra comunità”.
Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano.
Martin Luther King
Insegnavano Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa … “la mafia non si combatte solo con la polizia e i tribunali, ma anche con la mobilitazione pubblica , Su quell’onda è nato in Italia un ampio movimento antimafia, che negli ultimi anni si è esteso al nord, toccato dalle inchieste sull’ ndrangheta. Con la corruzione sta succedendo qualcosa di simile. Non basta scrivere libri e andare a parlare di legalità nei convegni o nelle scuole. Perché oltre alla repressione e alla prevenzione è indispensabile una presa di coscienza delle pericolosità del male, del danno che crea a tutti i cittadini”.
I libri e i convegni non bastano. Bisogna agire e con criterio.
Tutti dovrebbero essere “sbirri” ovvero confidenti di Questura per cambiare la nostra Italia.
Il cittadino comune, che vede o sa qualcosa di penalmente rilevante, finora ha fatto sempre questo ragionamento: “Perché mi devo intromettere e finire in tribunale; perché correre brutti rischi di minacce, ricatti o di venire ucciso io o la mia famiglia?” Ed è proprio sull’omertà che fanno leva i mafiosi.
I commercianti, poi, per paura che la propria attività sia distrutta, pagano regolarmente il “pizzo” e se si ribellano è la loro fine.
Per denunciare i mafiosi, il cittadino onesto, che sa qualcosa o l’imprenditore che è oggetto di attentati, minacce, estorsioni e ricatti deve essere tutelato, e lo Stato, non solo non è capace di proteggere i testimoni di giustizia, ma crea soltanto dei morti viventi.
Prendendo lo spunto da un’intervista di Laura Botti, pubblicata nel maggio 2004 su “Polizia e Democrazia” per la Polizia le denunce anonime sono sempre ben accette.
A mio avviso si dovrebbe:
1°) istituire un centralino con un numero verde aperto ventiquattr’ore (il n. 3131 è facile da ricordare);
2°) mettere al centralino persone in grado di valutare l’attendibilità delle chiamate;
3°) preparare un questionario con le domande più appropriate secondo il tipo di reato in modo da ottenere in brevissimo tempo tutte le notizie utili per l’individuazione del criminale e del distretto di Polizia cui trasferire le notizie raccolte;
4°) pubblicizzare l’idea per avere l’appoggio della Polizia e dei mezzi d’informazione;
5°) inviare o meglio presentarsi da Papa Bergoglio per avere l’appoggio di tutti i sacerdoti che, per chi va a confessarsi, oltre al perdono Divino, parli con il 3131.
Tutti i Papi hanno urlato ai mafiosi di pentirsi ed è arrivato il momento per ottenere dei risultati.
Per ottenere tutto ciò sono necessarie queste precise norme:
1° Garanzia assoluta dell’anonimato per quanti avessero segnalato fatti delittuosi;
A chi telefona, non si deve chiedere le generalità dell’informatore,
ma è il ricevente che attribuisce al collaboratore un nome in codice o di fantasia , con il quale richiamare per altre segnalazioni, o per eventuale ricompensa, oppure per garantirsi uno sconto di pena. (*)
2° Non si eseguono arresti, né spiccare ordini di cattura soltanto per una denuncia anonima;
Le informazioni trasmesse dall’Associazione alla Polizia devono servire unicamente per l’individuazione del responsabile del reato.
3° La polizia, da sola, metterà in atto tutti gli strumenti necessari (intercettazioni, appostamenti telecamere e microspie ecc.) e si procurerà le prove da portare in tribunale.
L’informatore non potrà così mai comparire in tribunale con una concreta riduzione dei tempi dei processi.
Questa è la notizia più confortante per chi è stato sempre zitto e avrebbe voluto gridare!
(*) Se poi, chi denuncia è un mafioso che ha deciso di cambiar vita, nonostante il patto di sangue che lo lega alla mafia, anche lui deve finire nella retata della polizia (chi direbbe che tra di loro c’è qualcuno che ha tradito?). Il Tribunale lo condannerà lo stesso come tutti gli altri, ma si creeranno le condizioni (buona condotta o altro) grazie al nome in codice ricevuto, che lui stesso vi dirà, a conferma della sua volontà di dissociarsi dalla mafia.
Questi sono i tre punti che garantiscono le libertà civili del cittadino. La cosa più importante è che questa iniziativa offre veramente ai cittadini l’opportunità di aiutare la polizia, senza esporli al rischio di rimanere coinvolti o di essere bollati come spie. La Polizia si impegna, è vero, ma senza la collaborazione dei cittadini non si andrà mai da nessuna parte.
Noi cittadini onesti abbiamo fame di giustizia e desideriamo vivere tranquilli; anche quelli che vivono da sempre in ambienti dove la mafia, la camorra, l’ndrangheta hanno dettato legge vorrebbero avere un aria più respirabile.
In questo modo la parola coraggio non è più un atto eroico, ma la certezza di dare una mano a risolvere l’annoso problema di questo tipo di delinquenza.
Si creerà un circuito virtuoso non appena, a condanna avvenuta, apparirà sui giornali e canali TV la notizia che quel delinquente o quella banda di mafiosi, sono stati assicurati alla giustizia “grazie alla collaborazione dei cittadini”
Il nome di fantasia dato a chi ha segnalato per primo, cioè quello che ha permesso l’assicurazione alla giustizia del delinquente, dopo l’avvenuta sentenza di condanna, potrà chiamare per ricevere una “taglia” ottenuta da tutti quelli che plaudono all’iniziativa, enti pubblici o privati cittadini che vogliono concorrere ad istituire un fondo ricompense (basta un po’ di pubblicità sui media). Il nome in codice accerta il diritto e gli sarà indicato un luogo qualunque (ufficio, negozio, ecc.) dove recarsi per ritirare una busta con la ricompensa. Chi preferisce invece non accettala gli sarà chiesto presso quale Ente destinarla.
Rimarrà nel cittadino l’intima soddisfazione d’aver assicurato alla giustizia un delinquente.
Finirà il terreno di coltura del silenzio, del “io non vedo, io non sento, io non parlo”.
Questa mafia è una cancrena che lo Stato non riuscirà mai a debellare perché centinaia, che dico, migliaia sono affiliati alle cosche e quantunque si riempissero le patrie galere, quei pochi rimasti si clonerebbero in breve tempo perché hanno capito che la loro è una società che può facilmente avere proseliti, giacché dà loro lo stipendio mensile sicuro, mentre affossano l’economia nazionale.
Lo Stato spende milioni di euro all’anno per garantire l’incolumità ai testimoni di giustizia senza riuscirci ed oggi, con la crisi, lo Stato non può più permetterselo.
La trasmissione che ho visto sui “testimoni di giustizia” mi ha riempito di rabbia. Quante vite spezzate, quanti disagi e quanti soldi dello Stato sprecati nel tentativo, fino ad oggi vano, di proteggere (?) questi eroi che, per aver fatto il proprio dovere, si trovano sotto terra o sono vivi ma morti che camminano senza identità, isolati da tutti e senza mezzi di sussistenza e comunque stanno peggio dei mafiosi in galera E cosa dire del terribile disastro dei rifiuti tossici seppelliti nelle campagne che hanno prodotto tumori e morti.
Questo non sarebbe successo se chi aveva visto, e molti avevano visto, e per paura (con ragione), non hanno potuto parlare.
Questo sistema naturalmente vale per la segnalazione di reati di varia natura come la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, ma il narcotraffico, la tratta degli esseri umani, il riciclaggio, gli appalti pubblici truccati, la contraffazione dei marchi, le ecomafie, le organizzazioni criminali straniere che operano nell’ombra in Italia, le operazioni finanziarie sospette, il traffico di reperti archeologici, i casi di corruzione (*), per non parlare di finti ciechi e invalidi, dei bracconieri, dei rimborsi d’incidenti stradali fasulli, dei furbetti del cartellino o dei tanti reati impuniti.
Sono tante le persone scomparse, di cui si è persa traccia, di cui la polizia è stata costretta ad archiviare le indagini.
Questa innovazione ridurrà considerevolmente i tempi dei processi, perché non ci sarà più l’interrogatorio dei testimoni.
Inoltre anche se da un lato farà aumentare il numero dei condannati, alla lunga le carceri si svuoteranno, perché chi ha intenzione di delinquere può star certo che non se la passerà liscia, perché c’è sempre qualcuno che ha visto, ha sentito e ha parlato.
Si potrà obbiettare che ci sarà sempre quello che, dietro l’anonimato, comunichi delle informazioni fasulle, ma è importante che al centralino ci siano persone capaci di vagliare le telefonate. Inoltre il centralino non è adatto per il pronto intervento. Per questo c’è il 113 per rivolgersi direttamente alla Polizia.
(*) A proposito della corruzione lo sappiamo che regna indisturbata in Italia: carrozzieri, nutrizionisti, insegnanti che fanno ripetizioni, dentisti, idraulici, parrucchiere, falegnami, ditte di traslochi, appartamenti ammobiliati senza contratto, visite specialistiche in cliniche private, insomma tutti quelli che prestano servizi lo fanno tutti in nero.
Sono quarantatre anni, da quando è nata la legge sull’Iva (vedi l’art. tre sui servizi), che lo Stato ha creato eserciti di corruttori e noi, nostro malgrado, siamo diventati collusi.
Se si vuole incominciare a fare un po’ di pulizia nelle nostre coscienze e gridare a tutti questi profittatori che le cose sono cambiate, si dovrebbe riformulare l’art. 3, togliendo l’imposizione dell’Iva a tutti quelli che l’iva non se la possono scaricare, liberandoci dalla schiavitù di questo “sconto” che arricchisce chi le tasse non le paga.
Solo così, dopo, si potrà pubblicizzare ai quattro venti (radio e TV nazionali e locali) che i comuni cittadini che chiedono servizi non dovranno più pagare l’iva.
Il cittadino dovrà pretendere regolare ricevuta fiscale e, senza il rilascio di tale documento non pagare. Dobbiamo far capire alla gente che in cambio del servizio dobbiamo avere la ricevuta. I soldi vengono dopo.
In questo modo, da una parte questi furbi dovranno pur venire allo scoperto con la denuncia dei redditi e dall’altra il cittadino, presentando a sua volta il 730 (la maggioranza siamo dipendenti o pensionati, unici che non siamo evasori), documentando i servizi ottenuti, potrà avere una detrazione sul suo imponibile.
Grazie per l’ospitalità
ugo.m.38@alice.it