Dall’espulsione al permesso di soggiorno: le toghe rosse graziano il clandestino

“Affermazione, proposizione, tesi, opinione che, per il suo contenuto o per la forma in cui è espressa, appare contraria all’opinione comune o alla verosimiglianza e riesce perciò sorprendente o incredibile”. È la definizione che la Treccani, nella sua versione online, dà della parola ‘paradosso’. Può essere benissimo anche la descrizione della situazione kafkiana in cui ci si ritrova oggi in Italia: alcuni giudici che non applicano le leggi approvate dal Parlamento in fatto di migranti. Proprio loro che sono chiamati a essere terzi e imparziali e ad applicare la legge equamente senza differenze tra giudicati, scelgono di non applicare quello che dispone il governo. Anzi, scelgono di andarvi addirittura contro: e così, da prossimo all’espulsione non avendo i requisiti per entrare in Italia, un clandestino proveniente da Paese ritenuto sicuro secondo i criteri del governo e dettati in realtà anche dalla stessa Unione europea, riesce a farla franca e a ottenere regolare permesso di soggiorno. Ecco il paradosso.

È bastato un semplice ricorso

Si tratta di un immigrato proveniente dall’Egitto, Stato che rientra regolarmente nella lista dei Paesi sicuri stilata dal governo italiano che permette agli originari di quegli Stati di accedere alle procedure accelerate per il rimpatrio. Era uno dei quasi 50 migranti prelevati nelle scorse settimane nel Mediterraneo e trasportato in Albania, nei due centri per il rimpatrio di Shengjin e Gjader. Nessuno di loro è rimasto in Albania: alcuni non avevano i requisiti giusti per essere rimpatriati, appartenevano a categorie deboli, come minori e bisognosi di cure mediche; tutti gli altri, in 43, potevano per legge essere espulsi, ma i giudici di Roma non hanno convalidato il loro trattenimento. Risultato? I migranti, che secondo la legge dovevano essere rimpatriati in quanto provenienti da Paesi sicuri e clandestini (ergo, avevano oltrepassato il confine italiano in modo illegale), ora si trovano liberi sul suolo nazionale a vagabondare senza un titolo idoneo per farlo.

I giudici di Roma hanno voluto aggiungere un nuovo tassello alla faida che da mesi combattono contro le leggi votate dal Parlamento. E infatti, uno dei migranti ha anche ottenuto permesso di soggiorno. A lui è bastato fare ricorso contro il diniego precedente. Un paio di firme ed ecco il suo visto: può andare e tanti saluti a casa. Ecco la motivazione: “Ritenuto necessario attendere la decisione della Corte di Giustizia il protrarsi dei tempi della decisione sulla domanda di sospensione avrebbe ricadute negative sulla posizione soggettiva del richiedente asilo”. In pratica, visto che i giudici si riservano il diritto di aspettare la prossima sentenza della Corte del Lussemburgo, che deciderà sui Paesi sicuri nei prossimi mesi, per questo motivo i migranti vengono esposti a chissà quale rischio. Dunque, meglio tenerceli anche se la legge dice il contrario. A emanare la sentenza è stato il giudice Lilla De Nuccio, da quanto si apprende un volto noto che prima apparteneva alle sezioni Immigrazione ma adesso, da quando la maggioranza ha scelto di innalzare la competenza sui dinieghi dei trattenimenti alle Corti d’appello, si è ritrovata insieme agli altri colleghi delle sezioni specializzate a operare a un livello più alto. Piccoli trucchetti, escamotage, per continuare quella lotta alle disposizioni del governo e approvate legittimamente dal Parlamento, in attesa di quella sentenza della Corte di Giustizia che si preannuncia – secondo molti indicatori a favore della maggioranza – un’amara sconfitta per le toghe rosse.

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