Sono le 8 del mattino a Brooklyn e l’aria profuma di svolta. Martedì 2 aprile, il Presidente Donald Trump ha annunciato ufficialmente un’ondata di nuovi dazi: +10% su tutte le importazioni, con misure aggiuntive mirate — 20% sull’Unione Europea, 34% sulla Cina, 24% sul Giappone — in vigore dal 5 aprile per il dazio generale, e dal 9 aprile per quelli specifici. Tutti i dettagli sono stati pubblicati in un fact sheet ufficiale della Casa Bianca.
Su Truth Social, Trump ha battezzato la giornata come il nuovo “Liberation Day”, dichiarando: “È il giorno in cui l’America smette di essere lo zerbino del mondo”, come riportato anche dal Wall Street Journal.
Sostenitori in festa, ma è scontro politico
L’annuncio ha galvanizzato i sostenitori del MAGA, che vedono nei dazi il ritorno della politica industriale americana. Ma le critiche non sono mancate, soprattutto da parte progressista. La deputata Pramila Jayapal, ad esempio, ha dichiarato che “i dazi di Trump sono una tassa sul popolo americano”, in un video pubblicato sulla sua pagina Facebook.
Alexandria Ocasio-Cortez, invece, pur non essendosi espressa direttamente su questo nuovo pacchetto tariffario, ha in passato definito i dazi “regressivi e dannosi per i più vulnerabili”. Posizione in linea con la narrativa democratica che vede nei dazi un peso per i consumatori.
Wall Street trema: il peggior tonfo dal 2020
La reazione dei mercati è stata violenta. Il 3 aprile, l’S&P 500 ha perso quasi il 5% in una sola seduta, cancellando oltre 2.400 miliardi di dollari di capitalizzazione. Si è trattato della peggior giornata per il mercato dal crollo pandemico del 2020, come evidenziato da Reuters.
Le preoccupazioni arrivano anche dal mondo della distribuzione: secondo la National Retail Federation, i dazi potrebbero “generare impennate di prezzo su centinaia di beni di consumo”. Di segno opposto la lettura della Coalition for a Prosperous America, secondo cui le tariffe rappresentano “una vittoria per i lavoratori americani” (CPA).
L’UE minaccia ritorsioni, ma ha già imposto dazi… a sé stessa
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha affermato che Bruxelles è pronta a reagire con un “piano forte”, che potrebbe includere contro-dazi su prodotti iconici americani, come bourbon, motociclette e jeans.
Tuttavia, scatenare una guerra commerciale in piena stagnazione economica potrebbe essere un boomerang. E l’Unione Europea, come denuncia l’Italia, ha già imposto una sorta di “dazio interno” ai propri cittadini: dal Green Deal al sistema ETS, dal blocco dei motori endotermici all’energia cara, passando per l’asfissia normativa.
Un punto ribadito chiaramente dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante un’intervista al TG1, dove ha dichiarato:
“Ci sono molte cose che possiamo fare per rimuovere i dazi che l’Unione Europea si è autoimposta. Cito le regole ideologiche non condivisibili sul settore dell’automotive, del Green Deal. L’automotive oggi è colpito dai dazi. Cito l’energia, che è un fattore di competitività sul quale dobbiamo avere molto più coraggio. Cito la semplificazione, perché siamo soffocati dalle regole. Cito il Patto di stabilità: forse una revisione del Patto, a questo punto, sarebbe necessaria.”
La linea è chiara: l’Italia non si oppone solo ai dazi americani, ma punta a smantellare le auto-imposte zavorre europee che ostacolano competitività e crescita.
Russia e Ucraina, nodo diplomatico
Nonostante alcune speculazioni, non esistono dichiarazioni ufficiali del Tesoro USA che confermino l’esclusione di Russia e Ucraina dal pacchetto di dazi. L’assenza di misure contro Mosca è probabilmente legata alla scarsa rilevanza commerciale bilaterale, mentre con Kiev proseguono i programmi di sostegno economico e militare.
Ogni altra lettura — come l’accusa di “favorire Putin” — resta una valutazione politica, priva di fondamento fattuale nelle comunicazioni ufficiali.
In conclusione, la mossa di Trump ha acceso un fuoco incrociato tra Washington, Bruxelles e i mercati. Una svolta che riapre il dibattito tra protezionismo e globalismo, tra interessi nazionali e ideologia, tra sovranità economica e vincoli internazionali.
Il “Liberation Day” potrebbe segnare l’inizio di un nuovo ciclo. Più duro, più incerto. Ma, per molti, finalmente più americano.