Mentre l’Europa guarda con timore all’offensiva protezionista di Donald Trump, che minaccia dazi contro l’export europeo, Giorgia Meloni accende i riflettori su un tema ignorato da Bruxelles: i “dazi interni” imposti dall’Unione stessa alle sue imprese e famiglie, in nome di una transizione ecologica che rischia di trasformarsi in una zavorra economica. Dietro lo slogan, c’è una realtà concreta che vale miliardi, e che – senza un riequilibrio – potrebbe far più male dei dazi americani.
Dazi americani: una minaccia concreta
Donald Trump, in piena campagna elettorale per il 2024, ha promesso un nuovo giro di vite contro le importazioni dall’Europa, con dazi fino al 100% su auto, acciaio, e altri beni. Un attacco diretto a uno dei cuori dell’economia italiana, il comparto manifatturiero ed esportatore. Con un valore annuo di oltre 65 miliardi di export verso gli USA, l’Italia rischia di vedere compromesse centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Il pericolo è reale, ma mentre la Commissione Europea si mobilita contro il nemico esterno, poche voci osano denunciare l’elefante nella stanza: l’Unione impone già oggi costi pesantissimi alle sue imprese, con normative ideologiche e ambientaliste che funzionano – nei fatti – come “dazi interni”, colpendo la produzione, i consumi, e la competitività. Una denuncia che Giorgia Meloni ha rilanciato con forza il 7 aprile scorso, parlando di regole che “frenano la competitività italiana, imponendo sacrifici senza ritorni concreti”.
Green Deal: quando l’ambiente diventa una tassa
Ecco, punto per punto, i principali strumenti europei che – seppur pensati per la transizione ecologica – stanno diventando un fardello economico insostenibile.
Sistema ETS: la tassa invisibile sul carbonio
Cos’è: Il Sistema di scambio delle quote di emissione (ETS) obbliga le industrie energivore (acciaio, cemento, ceramica, chimica) a pagare per ogni tonnellata di CO₂ emessa, con un prezzo che nel 2025 oscilla tra 70 e 80 euro.
Costo per l’Italia: Secondo Confindustria, le imprese italiane versano 2-3 miliardi di euro all’anno per acquistare i permessi di emissione. Ma il vero rischio è una multa UE fino a 25 miliardi di euro tra 2021 e 2033, se il nostro Paese non rispetterà i target climatici complessivi (non solo ETS, ma anche trasporti, edilizia, agricoltura).
Effetto a catena: Le aziende scaricano i costi sui prezzi finali. Ne risentono materiali da costruzione, fertilizzanti e prodotti di largo consumo. Le PMI – prive spesso di deroghe – vedono erosa la competitività rispetto a Paesi come Cina o India, dove questi vincoli non esistono.
CBAM: il “muro verde” all’import
Cos’è: Il Carbon Border Adjustment Mechanism, in vigore dal 2026, è una tassa sulle emissioni incorporate nei prodotti importati (acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti) per evitare “dumping ambientale”.
Problema: Se da un lato protegge l’industria UE da concorrenza sleale, dall’altro colpisce le filiere che dipendono da materie prime estere, come l’automotive, l’edilizia e la meccanica.
Stima dei costi: L’importazione di componenti potrebbe diventare più cara del 5-10%, con effetti sui prezzi finali. In Lombardia, ad esempio, la sola filiera dell’auto vale oltre 40 miliardi, fortemente interconnessa con fornitori extra-UE.
Direttiva “Case Green”: ristrutturare o pagare
Cos’è: Obbliga gli edifici residenziali a migliorare la classe energetica entro il 2030-2050, pena svalutazioni o limitazioni all’uso/vendita.
Costo stimato: In Italia, dove il 70% degli immobili è inefficiente, si parla di 20.000-50.000 euro per abitazione. A livello nazionale, l’adeguamento costerà oltre 100 miliardi di euro nei prossimi dieci anni.
Impatto sociale: Le famiglie a basso reddito (circa 2 milioni in povertà energetica, secondo ARERA) non possono affrontare simili spese senza incentivi forti e stabili. In assenza di una strategia credibile, affitti e mutui rischiano di impennarsi, soprattutto nelle città.
Euro 7 e addio ai motori termici: colpo all’industria auto
Cos’è: Il regolamento Euro 7 inasprisce i limiti sulle emissioni veicolari già dal 2027. Dal 2035, scatterà il divieto assoluto alla vendita di auto a benzina e diesel.
Costo: Per i produttori italiani (Stellantis, Magneti Marelli, ecc.) l’adeguamento richiede 2-3 miliardi solo per la ricerca e sviluppo di nuovi motori Euro 7. Il passaggio all’elettrico implica poi altri 15 miliardi di investimenti pubblici per colonnine, senza contare il costo delle nuove auto (oggi 35.000 euro in media, contro i 20.000 di una tradizionale).
Effetto reale: La domanda di veicoli elettrici in Italia resta bassa. I concessionari lamentano cali nelle vendite, scorte invendute e rischi occupazionali crescenti nelle officine e nella componentistica.
Chi paga davvero il conto?
- Famiglie: Secondo una stima incrociata di associazioni dei consumatori, una famiglia media italiana spenderà 500-1.000 euro in più all’anno per effetto di ETS (energia), CBAM (beni di consumo), Euro 7 (auto), e Case Green (affitti o manutenzioni). Cifre che salgono vertiginosamente con la ristrutturazione degli immobili, a meno di incentivi strutturati e continui.
- PMI: Le piccole imprese italiane – il 92% del tessuto produttivo secondo ISTAT – non hanno la forza finanziaria per gestire adeguamenti costosi, né per competere con realtà asiatiche o americane soggette a regolazioni più leggere. L’effetto è una deindustrializzazione silenziosa.
- Bilancio pubblico: La minaccia di multe UE sulle emissioni non è marginale. I 25 miliardi di euro stimati potrebbero rosicchiare risorse destinate a sanità, pensioni o scuola, peggiorando la tenuta sociale del Paese.
La posizione di Meloni: tra Bruxelles e Washington
Giorgia Meloni, pur rivendicando l’appartenenza europea e l’alleanza atlantica, sta tentando di tenere una linea autonoma, a difesa del sistema produttivo italiano. Se da un lato dialoga con gli USA e denuncia i dazi di Trump, dall’altro non tace sulle distorsioni interne all’UE. Una posizione che – numeri alla mano – riflette le difficoltà reali vissute da imprese e famiglie.
La transizione verde è necessaria, ma senza realismo economico diventa una trappola. Serve un nuovo equilibrio: meno ideologia, più pragmatismo, e soprattutto una transizione giusta, che non lasci indietro nessuno.