Dazi. Dialogo con Usa necessario per tutelare il nostro interesse nazionale

La politica del protezionismo esiste da sempre. C’era prima di Trump e ci sarà anche dopo.
Il fatto che però in questo preciso frangente storico l’amministrazione statunitense abbia deciso di agire incrementando i dazi nei confronti del mercato europeo fa emergere inevitabilmente delle riflessioni economiche, ovviamente, ma anche politiche.

Nella dialettica nostrana è oramai consolidato il fatto che qualsiasi cosa faccia Trump sia motivo di critica feroce, a prescindere dalle ragioni che vi sono dietro tali azioni. Azioni che prima facie per alcuni potrebbero essere ritenute azzardate, o peggio, folli.

Eppure, andando a scavare più a fondo, si comprende bene che dietro a tale politica economica messa in piedi dal tycoon vi sia la volontà, come da lui stesso affermato, di rendere di nuovo ricca l’America, rimettendo al centro quindi anche e soprattutto la sua economia.

Guardando dal punto di vista europeo, invece, questo stato di cose di certo non è dei migliori. Ma la causa di ciò non può essere affibbiata solo ed esclusivamente a Trump, quasi fosse un capro espiatorio da mettere avanti quando le cose non vanno bene. Perché, banalmente, così non è. Perché, di fatto, se l’Europa non è più grande, ricca e sicura come dovrebbe, non è colpa di nessuno se non dell’Europa stessa. In particolare, di quei burocrati che per troppo tempo hanno giocato a fare i grandi filosofi senza guardare alle esigenze reali dei cittadini.

Ora quindi, messo di fronte all’evidenza, il Vecchio continente deve fare le sue mosse. E dovranno essere necessariamente mosse giuste. Non si può rischiare il minimo passo falso. O le conseguenze potrebbero essere irreparabili.

In questo senso, uno spiraglio di luce lo dà l’Italia, che con Giorgia Meloni si pone in una direzione ben precisa, puntando su un dialogo, fatto di buon senso e pragmatismo. Lasciando ben lontana l’ipotesi di uno scontro, ma senza perdere di vista l’interesse primario della difesa del bene nazionale e di quello europeo.

La nostra premier, infatti, sebbene sia politicamente allineata alla visione dell’attuale Presidente Usa, non ne sposa ciecamente e acriticamente ogni azione. E anzi, alla faccia di chi continua a infangare la nostra stessa nazione definendola come asservita agli Stati Uniti d’America, non ha risparmiato critiche nei confronti di Trump, definendo quella dei dazi imposti “una misura sbagliata e che non conviene a nessuno”. E si è messa subito a lavoro (anche rinunciando ad altri impegni istituzionali) per scongiurare quella che potrebbe rivelarsi una vera e propria guerra commerciale, nel caso in cui si rispondesse con una mossa dei contro-dazi, che avrebbe come esito solo un acuirsi delle criticità tra le due sponde dell’Oceano.

Anche dalla stessa Casa Bianca è arrivato un segnale di apertura nei confronti del nostro Paese, tant’è che, come si apprende da Bloomerg, il vicepresidente americano J.Vance (sostenuto senza dubbio dal suo capo) avrebbe mobilitato i canali diplomatici per organizzare un incontro con il premier nostrano nel mese corrente. Un incontro, dunque, che rappresenterebbe un ulteriore successo diplomatico made in Italy, perché sarebbe di fatto una ulteriore conferma del ruolo chiave rivestito dall’Italia come nazione credibile e con cui vale la pena trattare.

È proprio sul trattare, infatti, che potremmo avere una grande opportunità per rimettere a posto lo squilibrio creatosi. Non va infatti dimenticato che, prima e sopra ogni cosa, The Donald è un uomo d’affari e imprenditore, che sa bene come e quando trattare. E il fatto che le acque si stiano muovendo verso il nostro mare, fa ben sperare per una maggiore cooperazione tra le due realtà americana e italiana. E di conseguenza, europea.

Quella delle trattative sarà una lunga e incerta strada, probabilmente difficoltosa e non sempre facile da percorrere. Ma in tutto questo, l’Italia non si farà prendere dall’istinto, ma giocherà le sue carte in maniera lucida. Sedendosi al tavolo delle trattive puntando su un dialogo franco e paritario, con un importante obiettivo in mente: mettere al primo posto l’interesse nazionale, e quindi anche le famiglie e le imprese. E, di conseguenza, il presente e il futuro del nostro Paese, che merita di essere tutelato sopra ogni cosa. Senza se senza ma.

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1 commento

  1. Cara Cecilia, apprezzo la misura e la ponderatezza delle tue riflessioni, che mi sembra ben rappresentino anche quelle del nostro Capo del Governo.
    Che l’Italia, e l’Europa, debbano restare alleate degli USA, per ragioni storiche, economiche e culturali, non può essere negato da nessuno che abbia un minimo di ragionevolezza e consapevolezza di cosa rappresenti l’Occidente.
    Ugualmente, ma qui non so quanto il consenso possa essere scontato, appare un grave errore, proprio a fronte dell’obiettivo di far tornare a crescere l’economia americana, la politica protezionistica.
    E’ vero, il protezionismo non l’ha inventato Trump. Il MEC – Mercato Unico Europeo – nasce dopo la guerra in un clima internazionale ancora pervaso dal protezionismo, e l’abolizione dei dazi fu all’interno del MEC, non verso l’esterno.
    Ma successivamente lo spirito della “globalizzazione dei mercati” si è diffuso. Non demonizziamo questa globalizzazione, ha portato benessere e crescita economica in tutte le nazioni che vi hanno partecipato, pur presentando nel contempo aspetti critici di prevalenza di concorrenti scorretti verso nazioni più deboli, come l’azione commerciale e finanziaria della Cina verso il resto del mondo.
    Ma il protezionismo è una politica di chi si sente debole e vuole difendersi, e con il protezionismo nessuna economia è mai diventata più forte. E’ la storia che lo insegna.
    E adesso non è e non sarà diverso.
    Trump come molti degli imprenditori americani guarda sempre al breve periodo. In Italia, e in Europa, abbiamo aziende con secoli di vita. L’azionista americano quarda al dividendo del mese. Non so quale sisetma sia migliore, ma certo il modo di trattare di Trump rispecchia questa vista di brevissimo termine. Non funziona. E’ come la pace in 24 ore in Ucraina. Putin sta ancora ridendo, sa che la parola del Sig. Trump cambia facilmente.
    Ma noi non dobbiamo preoccuparci di come far cambiare idea a Trump, ci penserà da sé.
    Dobbiamo preoccuparci a nostra volta di come far tornare forte e prospera l’Europa, o meglio: i paesi europei che intendono preservare, sviluppare e difendere la loro civiltà e la loro economia, inevitabilmente agendo di concerto.
    E allora è inutile che aggiunga altre raccomandazioni di breve termine, il Governo ha gli uomini (maschile sovraesteso) e le competenze per farlo.
    Il mio pensiero è su una prospettiva più lunga: l’Europa è debole perchè ha costruito un eccesso di economia pubblica – di socialismo – che soffoca l’iniziativa delle aziende e delle persone a vantaggio di enti che vivono in modo parassitario sul lavoro degli altri.
    L’utopia di uno Stato che garantisce a tutti reddito, sanità, istruzione, casa, lavoro e così via è l’utopia comunista, che ha dimostrato il suo fallimento storico con un lascito di ignoranza, incapacità di progettare il proprio futuro, miseria.
    La risposta migliore, a parte il negoziato a breve per contemperare le esigenze italiane – ed europee – con le misure USA, è quella di smantellare la spesa pubblica, lasciare più reddito a chi lo produce e tagliare le tasse. Ci è arrivato persino Milei, che non ha caso ha abolito, non aumentato, i dazi, e sta già raccogliendo i primi frutti positivi.
    L’Italia – e l’Europa – ha un potenziale enorme di crescita se smette di tarpare l’iniziativa privata.
    Vuol dire che se Trump resta cieco con la sua mania dei dazi l’Italia troverà altri mercati, basta che gli imprenditori non siano trattati da criminali da fisco e magistratura. Allora anche Trump dovrà scegliere se richiudersi nel protezionismo e fare arretrare l’economia americana o cambiare idea e politica.

    Con affetto

    Alessandro

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