Il delitto del Circeo è una delle pagine di cronaca nera più crude della nostra storia. Non c’è stato foglio di giornale che non abbia raccontato il rapimento, le violenze, le sevizie subite Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. Era il 75 quando queste due giovani romane di 17 e 19 anni vengono adescate da Angelo Izzo, giovane della Roma bene, rassicurante e istrionico, che convince le due a seguirlo ad una festa al Circeo. Arrivate a Punta Rossa, nella villa di famiglia di Andrea Ghira, uno dei tre assassini, per le due ragazze si spalanca subito la porta dell’inferno. Non c’era musica, né festa, né amici, ma tre giovani assassini senza scrupoli che per 36 ore le hanno malmenate e terrorizzate, sino ad annegare la Lopez in una vasca da bagno e a credere di aver ucciso a sprangate sul capo la Colasanti, che invece per cercare di salvarsi si era finta morta e immobile aveva subito le ultime sevizie. Con i corpi ancora caldi, poi, le mettono nel bagagliaio dell’auto e tornano verso Roma, per cenare prima di disfarsi di quelli che credevano essere due cadaveri.
Donatella, appena si accorge che i tre aguzzini erano scesi dalla macchina, grida forte, con tutto il fiato che le é rimasto in gola, con la forza di una preda che si libera da una bestia feroce e con il barlume di speranza di chi intravede la via per tornare a respirare nel mondo dei vivi. Il processo celebrato davanti alla Corte d’Assise di Latina porta ad Izzo, Guido e Ghira la condanna all’ergastolo. Ghira fugge e si arruola nella legione straniera sotto mentite spoglie, morirà nel 97 per overdose, a Guido verrà ridotto l’ergastolo a 30 anni, è libero dal 2009 e Izzo, invece, durante un “permesso premio”, uccide di nuovo una donna e sua figlia quattordicenne, viene così condannato ad un altro ergastolo che sta scontando nel carcere di Alatri.
Ci sono intere pagine di cronaca del tempo che narrano quest’incubo con dovizie di particolari. Il processo all’epoca, fu seguito con attenzione dal movimento femminista. La Colasanti, era difesa dall’avvocato Tina Lagostena Bassi, punto di riferimento per le donne che affermavano la propria emancipazione, perché allora essere violentate e uccise veniva ancora nella vulgata giustificato con uno sbrigativo “se l’è andata a cercare” e si costituirono parte civile anche molte associazioni femministe. L’epilogo giudiziario, dunque, oltre a costituire una vittoria per la povera Colasanti, fu un punto di svolta nella lotta alla violenza sulle donne.
Ci sono, dicevamo, fonti innumerevoli sul caso, atti processuali e avvocati ancora pienamente in grado di riferire su tutto quello che è accaduto. Tuttavia la Cattleya, casa cinematografica indipendente, decide di fare una fiction sul delitto e di sentire come “consulente” proprio Angelo Izzo, l’aguzzino. E ci assale l’atroce sensazione che questa scelta, evidentemente inutile sotto il profilo pratico e estremamente offensiva per le vittime, abbia un fine pubblicitario: é già clamore, è già critica, è già replica ed é già dibattito.
La Cattleya è di proprietà di Riccardo Tozzi, che la presiede e dirige. Tozzi è il marito di Cristiana Comencini, attrice impegnata nel movimento femminista e attiva “senonoraquandista”, madre di Carlo Calenda. E questa storia “dell’assassino consulente” ha il sapore di una squallida trovata per foraggiare la fabbrica di denaro dell’industria del cinema radical chic, che dimentica di fronte al soldo anche la morte e i principi di giustizia e libertà delle donne, che sono stati affermati per il tramite di questa tragedia. Che direbbe l’Avvocato Tina Lagostena Bassi di fronte a tutto ciò? Forse che il femminismo di plastica urlato nelle piazze dovrebbe quanto meno tentare la via della decenza, perchè così si è perduta anche quella di facciata.