Benvenuti negli Anni Venti. Dello scorso secolo. Perché la prospettiva tracciata dal Fondo Monetario Internazionale prevede per l’Italia uno scenario molto simile alla Grande Depressione del 1929. Infatti, quest’anno il Pil italiano potrebbe crollare a -9,1% per poi registrare un limitato rimbalzo nel 2021 a +4,8%, secondo la stima formulata nel World Economic Outlook, che appena tre mesi fa prevedeva per l’Italia una timida crescita dello 0,5%. Il tasso di disoccupazione per l’Italia nel 2020 dovrebbe raggiungere il 12,7% (+2,7 rispetto al 2019), seguita da un calo al 10,5% nel 2021. L’FMI avverte che l’economia globale “sperimenterà la sua peggiore recessione dai tempi della Grande Depressione”, tanto che “il Grande Lockdown è una crisi come nessun’altra”. Il Pil globale dovrebbe contrarsi del 3% nel 2020, peggio della crisi finanziaria che interessò il mondo nel 2008.
I segnali di allarme per l’economia italiana sono giunti anche da fonti autorevoli nostrane. Abbiamo un disperato bisogno di entrare nella “fase 2”, anche se ancora non siamo usciti dalla fase 1, e abbiamo bisogno di ripensare tutto il mondo del lavoro. Lo stato di salute dell’economia italiana è a rischio tanto quanto la salute degli Italiani stessi, e i dati provengono da numerose fonti autorevoli. Le stime del danno economico, purtroppo, vanno oltre ogni pessimistica aspettativa.
Il 26 marzo scorso, l’Ufficio studi di Confcommercio aveva già lanciato l’allarme: “Con il protrarsi delle chiusure delle attività produttive e di quelle del terziario – come il commercio, il turismo, i servizi, i trasporti e le professioni – e con la prospettiva che questa situazione si prolunghi nel tempo, la situazione economica e il calo dei consumi sono destinati a peggiorare. E, nella difficoltà di prevedere a breve il ritorno ad una situazione “normale”, rischia di saltare la previsione più ottimistica che era quella della “riapertura” dell’Italia a giugno che avrebbe comportato, per il 2020, la perdita di 1 punto di Pil e 18 miliardi di consumi. Si fa, quindi, più realistica l’ipotesi della riapertura del Paese solo all’inizio di ottobre, con una riduzione dei consumi di oltre 52 miliardi e un calo del Pil di circa il 3%, stime che incorporano anche gli aiuti stanziati con l’ultimo decreto”. Se davvero le attività dovessero riaprire ad ottobre, lo scenario che ci attenderebbe sarebbe il seguente: alberghi e ristorazione (-23,4 miliardi di consumi nel 2020), trasporti e acquisto autoveicoli (-16,5 miliardi), cultura e tempo libero (-8,2 miliardi), abbigliamento (-6,6 miliardi).
Stime più recenti sembrano solo confermare quanto affermato dall’FMI e da Confcommercio: secondo l’Istat la limitazione delle attività produttive coinvolge il 34% della produzione e il 27,1% del valore aggiunto, e avverte che “seppure limitate nel tempo e ristrette a un sottoinsieme di settori di attività economica, tali misure sono in grado di generare uno shock rilevante e diffuso sull’intero sistema produttivo. Infatti, oltre agli effetti diretti connessi alla sospensione dell’attività nei settori coinvolti nei provvedimenti, il sistema produttivo subirebbe anche gli effetti indiretti legati alle relazioni intersettoriali”. Se infatti la limitazione delle attività produttive dovesse estendersi fino alla fine di aprile, determinerebbe, su base annua, una riduzione dei consumi finali pari al 4,1%, con una diminuzione del valore aggiunto generato dal sistema produttivo italiano pari all’1,9%. Se invece le restrizioni si estendessero anche ai mesi di maggio e giugno, la riduzione dei consumi sarebbe del 9,9%, con una contrazione complessiva del valore aggiunto pari al 4,5%. Che equivale a dire “poco meno di 900mila gli occupati coinvolti, di cui 103mila non regolari, per un totale di 20,8 miliardi di retribuzioni”. Ad oggi risultano sospese le attività di 2,2 milioni di imprese (il 49% del totale, il 65% nel caso delle imprese esportatrici), con un’occupazione di 7,4 milioni di addetti (44,3%) di cui 4,9 milioni di dipendenti (il 42,1%).
Unioncamere stima che a causa del coronavirus sono previsti 422mila occupati in meno per il 2020, il 2,1% in meno rispetto al 2019. Nello specifico, si prevede per gli indipendenti una riduzione di 190mila unità (-3,4%) e per i dipendenti privati di 232mila unità (-1,6%). Dall’analisi dei comparti produttivi si evidenzia una flessione stimata di 113mila unità nell’industria e di circa 309mila nei servizi. Il turismo risulta il settore maggiormente in sofferenza, con un calo stimato di 220mila occupati, male anche per le costruzioni (-31mila unità), la moda (-19mila), la metallurgia (-17mila). Per quanto riguarda i servizi, importanti riduzioni degli occupati anche nel commercio (-72mila unità), nei servizi culturali, sportivi e altri servizi alle persone (-24mila unità) e nel trasporto e logistica (-18mila unità).
Per evitare il collasso dell’economia italiana, è allora necessario ripensare il mondo del lavoro nel suo insieme. Un importante spunto, nonché appello a ripensare le modalità lavorative di tanti settori, proviene da uno studio della Banca d’Italia, che ha tracciato una mappa delle figure professionali che operano nei 600 settori italiani. Viene sottolineato che ci sono alcune categorie di lavoratori che sono più esposte alla vicinanza fisica e altre categorie che invece sono più esposte verso le malattie. Ne deriva che i primi dieci settori per vicinanza fisica comprendono: istruzione pre-scolastica, asili nido, studi odontoiatrici, farmacie, bar, commercio di calzature, corsi sportivi e ricreativi, commercio di giocattoli, profumeria e cosmetici e, infine, pesca marittima. Per quanto riguarda i settori più esposti verso le malattie, ci sono ovviamente i servizi sanitari (veterinari, ospedalieri, odontoiatrici, di assistenza residenziale, medicina generale e specialistica, strutture di assistenza e psichiatriche) e gli asili nido. Un quadro quanto mai variegato, che impone un ripensamento a 360° del mondo del lavoro, che necessita di risposte urgenti in quanto coinvolge una platea molto vasta di lavoratori. Escludendo le attività fondamentali come i servizi sanitari e il commercio alimentare, il documento della Banca d’Italia sottolinea che “il numero di lavoratori occupati in settori il cui indice di prossimità fisica è superiore alla media nazionale è pari a oltre 6,5 milioni (circa il 28% dell’occupazione complessiva)”. I provvedimenti emanati dal governo l’11 e il 22 marzo di fermo delle attività, sempre secondo queste stime, dovrebbero aver interessato fino al 35% dei lavoratori (quasi 8 milioni di persone). Un numero considerevole di persone che prima o poi dovranno tornare a lavoro, e per evitare di far ripartire l’epidemia, avranno bisogno di un ambiente differente. Soprattutto, bisognerà applicare lo smartworking laddove le situazioni lo consentano: una soluzione con un notevole impatto positivo, sia perché ridurrebbe l’eventuale contagio, sia perché ridurrebbe l’inquinamento nelle città, visti i minori spostamenti dei lavoratori.
Infine, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli ha commentato le stime rilasciate dall’Ufficio studi di Confcommercio: “I dati di marzo confermano il crollo dei consumi e del fatturato delle imprese. Serve liquidità immediata senza burocrazia integrando le garanzie dello Stato con indennizzi e contributi a fondo perduto. Va inoltre pianificata attentamente la riapertura delle attività preparando i livelli sanitari, tecnologici e organizzativi perché il Paese appena possibile deve riaccendere i motori e ripartire in assoluta sicurezza“. Liquidità immediata, no burocrazia, pianificare la riapertura: tre concetti chiari, precisi e lungimiranti.
Sono le stesse misure formulate da Fratelli d’Italia e presentate al governo, rimaste purtroppo lettera morta. Il partito di Giorgia Meloni aveva infatti chiesto di dare 1.000 euro subito e sul conto corrente a tutti quelli che sono in condizioni di bisogno, in attesa di sapere quando verranno versate la cassa integrazione e l’indennità per gli autonomi, chiedendo anche linee di credito per le aziende vincolate al pagamento di stipendi e fornitori. In più, snellimento immediato della burocrazia: via Isa, fattura elettronica, scontrino fiscale, tetto al contante; ma anche voucher lavoro liberi in tutti i settori, sospensione del decreto Dignità per rendere più facile assumere, abolizione almeno per il 2020 del minimo contributivo Inps per artigiani e commercianti.
Peccato che gli Italiani in difficoltà stiano ancora aspettando i 600€ di marzo, mentre il governo parla di MES, patrimoniali che ci riportano al prelievo forzoso dell’estate 1992, assenza totale di strategia per far ripartire il Paese. Dopo più di un mese di lockdown, l’unica certezza che hanno i cittadini italiani è che il governo non abbia ancora idea di cosa fare.