Draghi leader del socialismo pandemico

Sarà che in questi giorni si apprende (sai che novità) di possibili finanziamenti di Caracas ai grlllini, ma il discorso di Mario Draghi all’inizio del G20 mi ha ricordato Hugo Chavez. Certo, nulla v’è in comune tra l’ufficiale venezuelano che amava parlare ore in tv e il banchiere europeo che, da quando è premier, non ha rilasciato neppure un’intervista.

E tuttavia anche il Caudillo parlava, come Draghi, di “costruire un nuovo modello economico”. Guarda caso, quando si usano espressioni vaghe come “nuovo modello economico” o “nuovo modello di sviluppo” è sempre in direzione socialista e dirigista che si va: mai che si dica che si intenda costruire un nuovo modello economico per fornire maggiore libertà ai produttori. E’ insomma una sorta di socialismo, quello che si intravede nel mondo post pandemico – o meglio nella “era delle pandemie”, come ha detto mesi fa Ursula von der Leyen e come ha ribadito ieri Charles Michel proprio al G20. Il socialismo pandemico è esattamente il nuovo modello economico che si sta affermando nel mondo capitalistico, secondo quella linea di “socialismo capitalista” o di “capitalismo socialista” già anticipata dalla Cina.

Quindi, che sia consapevoli o meno, sul piano del “modello economico”, Stati Uniti, Unione Europa, cioè un tempo il mondo occidentale, si stanno sempre più avvicinando al modello cinese. Certo, gli Stati Uniti sono ora consapevoli che Pechino è il loro nemico, e viceversa. Ma, diversamente dalla Guerra fredda, che era una guerra anche e forse soprattutto di valori, qui i sistemi economici dei due nemici tenderanno sempre più a convergere, e la scelta del campo in cui collocarsi discendere quasi esclusivamente solo da scelte di carattere geopolitico e di interesse economico per i singoli paesi.

Non è un caso che Draghi sia la punta più avanzata di questo socialismo pandemico, i cui tratti evidenti si trovano anche nelle recenti misure del governi francesi e spagnolo, nella svolta tax and spending dei conservatori di Johnson (una sorta di “consocialism” come l‘hanno definito i tories eretici) e soprattutto nella politica di Biden. Ma Draghi resta la falange più avanzata di questo “nuovo modello economico” che chiamiamo “socialismo pandemico” per almeno due ragioni. La prima, è che Draghi è il primo, vero leader politico emerso con la pandemia. Non solo nel senso che è l’unico ad avere assunto la guida di un governo della Ue durante la pandemia e, con Biden, di tutto il G20. Ma nel senso ancora più profondo che egli è sceso nell’agone politico solo durante la pandemia: prima non era un attore politico.

Draghi è quindi il primo, autentico, prototipo della politica pandemica. La seconda ragione di interesse è il modo con cui Draghi è sceso in campo, per cosi dire, ed è diventato premier. Non in base ad una legittimazione di tipo elettorale ma ad una legittimazione derivante dalla propria competenza tecnica. Hanno infatti torto quelli che ritengono che, già da presidente della Bce, Draghi fosse un politico. Che le sue decisioni abbiano avuto un rilievo politico fondamentale è ovvio, ma che la sua nomina, la sua funzione, la sua forma di legittimazione, da presidente Bce, fosse di tipo tecnico-burocratico e non politico è altrettanto ovvio.

Ma al tempo stesso quelli hanno anche ragione, perché ormai il discrimine tra cosa sia il “tecnico-burocratici” e cosa sia il “politico” è diventato assai labile. E Draghi rappresenta proprio l’esempio della egemonia della tecnica sulla politica: di più, della la “tecnica” fattasi politica. E il “modello economico” di questa nuova politica è il “socialismo pandemico”. L’Italia è il primo paese importante in cui questo esperimento è in corso. Siamo ancora una volta un laboratorio. Ma speriamo di non essere come quello di Wuhan.

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Marco Gervasoni
Marco Gervasoni
Marco Gervasoni (Milano, 1968) è professore ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise, editorialista de “Il Giornale”, membro del Comitato scientifico della Fondazione Fare Futuro. Autore di numerose monografie, ha da ultimo curato l’Edizione italiana delle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia di Edmund Burke (Giubilei Regnani) e lavora a un libro sul conservatorismo.

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