Che poi, a ben vedere, in questo tempo dove la crisi delle vocazioni ha svuotato i conventi e i seminari, non sarebbe poi tanto male trovare qualcuno di nuovo da portare sugli altari, qualcuno che riceva grandi consensi, acritico appoggio popolare, ammirazione fino a suscitare una sorta di fascinazione collettiva che vuole l’incolpevole soggetto come bellissimo, intelligentissimo, molto saggio, assolutamente infallibile. In pratica una via di mezzo tra un angelo e un superuomo “sceso in terra a miracol mostrare”- parafrasando Dante – che ci guiderà lungo la via e risolverà tutti i problemi. In sintesi, Matteo Salvini di questi tempi.
Che Salvini sia bravo a fare il suo lavoro, non ci sono dubbi, basta vedere come ha trasformato un partito “locale” e all’epoca non certo in buona salute, nel primo partito italiano. Che sia intelligente lo dimostra il modo accattivante che ha di rivolgersi al suo elettorato, il cui volere sembra tenere in grande considerazione anche se poi, all’atto pratico, le decisioni le prende senza farsi influenzare né, tanto meno, travolgere. Un punto in più per lui. Che sia bello ci permettiamo di escluderlo, ma ha dalla sua ha il grande fascino che sempre l’uomo di potere esercita, che lo fa apparire spesso come l’invincibile cavaliere da cui ogni donzella vorrebbe essere salvata. Prova ne è che durante le sue apparizioni pubbliche, l’agognato Matteo, venga accolto da urla e gridolini di quelli che un tempo erano riservati soltanto ai cantanti rock e agli attori fotogenici, mentre diluvi di scatti fotografici via telefonino saturano l’aria di click. E, a ben osservare, non sono solo le mature signore appassionate di politica a ricevere il leader della Lega in questo modo, ma sempre più ragazzine di quattordici o quindici anni, che probabilmente degli affari di governo se ne fregano, ma subiscono in pieno il fascino del Capitano.
“Il Capitano” – così l’hanno soprannominato probabilmente facendo rigirare nella bara il povero Codreanu -e lui appare quasi schermirsi per questo nomignolo, incerto se calarsi nel personaggio. In compenso, non sembra per niente preoccupato per l’enorme carico di responsabilità che la sua posizione comporta, e probabilmente accade perché da una parte ha una gran voglia di fare e di concludere qualcosa di buono dopo tanti inconcludenti predecessori, e dall’altra perché conosce bene gli italiani, e ha capito che quando sono innamorati hanno spesse fette di prosciutto sugli occhi che impediscono il contatto con la realtà, lasciandoli preda delle loro illusioni, dei sogni, dell’immaginifico. Salvo poi risvegliarsi di colpo, magari quando meno te lo aspetti e presentarti il conto, per lo più fin troppo salato. E’ sempre stato così a queste latitudini, e troppo spesso si è osservato l’assurgere di nuovi astri, dopo poco seguita da rovinosa caduta.
Un esempio su tutti, un altro Matteo, quel toscanaccio di Renzi, a cui solo un paio di anni fa le scolaresche dedicavano canzoncine inneggianti che quasi quasi non meritò nemmeno il Duce. Viaggiava all’epoca il giovanotto di Pontassieve con quella sua andatura caracollante e la mano in tasca mentre lo sguardo sornione si specchiava intorno per osservare l’offerta di quel misto di adorazione e sudditanza che forse, in qualche angolino della sua mente, meravigliava anche lui. Dava un’idea, il Renzi, tra un JFK della provincia italiana e il Taracchi di Raimondo Vianello, ma le folle si scioglievano in visibilio al suo solo apparire, e da lui tutto accettavano, fino a trovare simpatica e competente anche Maria Elena Boschi, dal Matteo piddino imposta in tutte le salse e in ruoli per lei spropositati, e affascinante sua moglie Agnese, brava donna, per carità, ma non proprio adatta per essere paragonata, come accadde, a Jacqueline Bouvier, sia nella versione Kennedy che in quella Onassis.
Tutto era bello, tutto era saggio, tutto era strepitoso di quello che faceva il Renzi, e i solerti menestrelli che in Italia ci ostiniamo a chiamare giornalisti, non si risparmiavano di descrivere come un successo grandioso qualsiasi cosa il giovanotto s’inventasse, fosse pure un ritardo con la Merkel che sbuffava e mezza Europa che lo considerava un ragazzino maleducato, da prendere per il bavero e scuotere un po’, salvo poi rispondergli no a tutte le richieste, e costringerlo a fare ciò che era più comodo per tutti meno che per gli italiani. Eppure, che applausi, che fondi per spiegarci come il vento soffiasse in poppa della vecchia nave italiaca, anche perché della nave ce ne fregava poco mentre Matteo decideva di migliorare la flotta aerea del governo e organizzava un bel leasing con l’Etihad per farsi arrivare il cosiddetto “Air Force Renzi”, operazione da 150 milioncini di euro, in una Nazione dove intanto la disoccupazione giovanile aveva raggiunto vette agghiaccianti, l’economia era sotto a un treno – tanto per continuare a parlare in termini di mezzi di trasporto – e la soglia della povertà era stata raggiunta e superata da almeno 5 milioni di persone, mentre decine e decine di migliaia di disgraziati senza futuro ci invadeva dal sud del mondo.
Poi, di colpo, in questa “fiera di paese “ zuccherosa, ecco l’implosione. Quasi fosse caduta di colpo la nebbia profonda che nascondeva la realtà, ecco il risveglio collettivo. Renzi comincia ad apparire per quel che è, un giovane uomo furbo, un po’ tronfio, con una grande parlantina e una notevole faccia tosta, capace di promettere mari e monti senza poi fare nulla ma lasciando alla gente la stramba convinzione di doverlo anche ringraziare. La parabola discendente è all’improvviso come il tuffo di una meteora: dopo il breve arco di luce una fiammata più forte delle altre prima del buio assoluto. Un buio destinato a restale tale.
Sulla scorta di tutto ciò, siamo un po’ preoccupati per Salvini, su cui contiamo, perché ora con l’arrivo della classica e immancabile “persecuzione della magistratura”, non vogliamo che gli italiani già così di lui innamorati sentendolo vittima e ascoltandone le pur giustificate lamentele, aumentino addirittura il loro consenso senza che prima il Matteo lombardo abbia cominciato a incassare qualche concreto risultato, per poi bruciare anche lui. Dall’oggi al domani. Così, di colpo, senza che quasi te ne accorgi. E poi ricominciare tutto da capo col prossimo.