Utero in affitto: la grande ipocrisia della sinistra

Non è il desiderio di maternità o paternità ad essere in discussione, un desiderio più che legittimo e condivisibile, ma il modo con cui lo si vuole realizzare.

La maternità surrogata, altro bel nome accattivante per celare la reale crudeltà della pratica, non è il modo giusto per appagare il desiderio di essere genitori.

Innanzi tutto occorre chiamare le cose con il proprio nome: utero in affitto e non maternità surrogata o come alcuni intelligenti e bravi e buoni e progressisti (e radicali ormai annacquati) della politica la definiscono, maternità solidale. Non è il modo giusto perché lede profondamente la dignità umana, viola il corpo della donna e lo mercifica, rende irriconoscibile il legame naturale tra madre e figlio e elide la figura materna dalla storia umana e affettiva del nascituro.

L’utero in affitto funziona così: si sceglie l’ovocita, da un catalogo e con determinate caratteristiche, la proprietaria dell’ovocita infatti si può scegliere bella, alta, con gli occhi blu. Le uova di madri nere costano meno … e questo non scandalizza?! Poi si sceglie la “portatrice”, che deve essere già madre, deve infatti aver dato prova di poter procreare, ed è sempre un donna indigente, perché nessuna donna che non versi in stato di bisogno metterebbe per nove mesi il suo corpo al servizio della procreazione per procura.

Questa pratica arriva a costare 100.000 euro, e 15 o 20mila vanno in tasca alla madre portatrice.

Ebbene, ora, epurata dagli eufemismi che la sinistra sempre utilizza sapientemente per ridimensionare la portata delle proprie distorsioni ideologiche, è ben evidente che quella dell’utero in affitto è una pratica così turpe da non poter essere in alcun modo giustificata ed è inutile affermare che occorre regolamentarla, per far sì che vengano meno le aberrazioni, perché comperare ovociti e affittare un utero altrui è un’aberrazione in sé, tant’è che in Italia è un reato e sul fatto che lo sia non vi sono dubbi.

Oggi chi chiede con fare professorale la regolamentazione dell’utero in affitto, ciurlando nel manico, non ha mai chiesto l’abolizione del reato, forse perché preferisce semplicemente dar albergo in Italia alle sue conseguenze, restando più comodo e meno fastidioso far realizzare il reato lontano dai propri occhi.

Così, ipocritamente come sempre, per dare un vestito di dignità ad una battaglia che di dignitoso ha ben poco, si sposta l’attenzione mediatica sui 100.000 figli di coppie omogenitoriali che devono essere riconosciuti. Ma anche su questo, non si può nascondere la verità oggettiva del fatto che a nessun bambino in Italia è negato alcun diritto, a nessuno, in assoluto. Ciò che si nega è la pretesa di voler aggirare la normativa italiana, compiendo all’estero un reato e pretendendo poi di venire in Italia come se il reato non fosse mai stato compiuto.

Provate a chiedere a chiunque se i bambini di coppie omogenitoriali manchino di qualcosa in termini di diritti civili e sociali. L’unica mancanza che troverete è nella realizzazione dei desiderata di chi, pur di appagare il bisogno di maternità e paternità, è pronto a accedere al mercato degli ovuli e degli uteri, senza considerare che il  proprio legittimo e condivisibile desiderio, realizzato in questo modo, lede enormemente i diritti delle donne e dei bambini, cui viene rubata la possibilità di essere pienamente madri e pienamente figli.

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