Evan Gershkovich, giornalista e collaboratore del Wall Street Journal, è stato arrestato già da tempo in Russia con l’accusa di “spionaggio” dalle autorità. Ieri è ricominciato il processo nei suoi confronti ad Ekaterinburg. L’udienza era prevista per il 13 agosto, ma è stata poi spostata al 18 luglio dal tribunale regionale di Sverdlovsk. Oggi i pubblici ministeri hanno richiesto una condanna a 18 anni di prigionia per Evan, una pena che – se confermata – potrebbe rivelarsi al pari di un’incudine sulla salute fisica e mentale del divulgatore, il quale molto probabilmente sarà costretto a vivere le pene dell’inferno all’interno di un carcere russo.
Un altro dissidente che viene perseguitato dalla Corte russa, un classico senza tempo ormai per lo Stato di riferimento, che molto probabilmente si diverte di più a creare accuse che a processare seriamente gli imputati: costui avrebbe raccolto informazioni segrete in campo militare, stando ai motivi del suo arresto. Già un anno passato in detenzione, la pena è tutt’altro che scontata ma c’è da augurarsi che qualcuno intervenga per liberarlo ed evitare i suoi futuri patimenti. Ora che gli USA sono tra i nemici numero 1 del Cremlino, chissà come starà esultando Vladimir Putin alla notizia di una nuova più che possibile detenzione di quasi 20 anni.
Arrestare un giornalista, però, non frutterà positivamente per la nomea della Federazione russa né all’interno – per coloro che non sono ideologizzati – né all’esterno, basti pensare a tutte le battaglie che fino a questo momento sono state portate avanti per lo stesso Julian Assange. Strano che la Russia protegga soltanto chi potrebbe farle comodo: basti pensare al caso di Edward Snowden. Evidentemente, anche la pluralità sembra mancare nelle menti più “alte”della scala gerarchica nella politica russa.
Trattato praticamente quasi come un terribile criminale, Gershkovich sta rischiando una sorte molto simile a quella di Orlov e Navalny. Sarà difficile abituarsi ad eventi di questo genere, specialmente perché l’informazione è come il sacro fuoco di Prometeo, punito nel mito dagli Dei per averlo consegnato agli uomini. Solo che in storie come questa non ci sono divinità particolari, ma esseri umani che credono, in nome dei loro sommi ranghi sociali, di poter manomettere le altrui libertà e addirittura di controllare in tutto e per tutto l’informazione, se necessario punendo severamente chi cerca in ogni modo di rimettere assieme i pezzi per offrire una versione dei fatti veritiera.
Forse non riusciremo a comprendere per molto tempo quali siano stati le informazioni reperite da Evan Gershkovich, nel peggiore dei casi non lo sapremo mai, ma una cosa è certa: non basterà tutta la repressione nazionale dei Tribunali, delle leggi e dello stesso Cremlino per fermare il corso della storia. Prima o poi ogni uomo deve fare i conti con le proprie scelte, non c’è posto remoto in cui sia plausibile scappare, lasciando abbandonate sul molo della cancellazione i propri rimorsi e le proprie responsabilità.
All’Occidente e alla famiglia del giornalista americano, non resta che sperare di rivederlo libero nel minor tempo possibile, anche se considerando le difficili relazioni diplomatiche con la Russia, rese ormai quasi impossibili dal suo isolamento in generale, sembra quasi impossibile.
Fenomeni giudiziari come questo, lasciano intendere quanto non sia poi così scontata la libertà di stampa in generale: proprio per questo motivo, bisognerebbe tutelarla maggiormente e sovvenzionarla, per evitare che quest’ultima possa cader nelle mani di chi vorrebbe utilizzarla esclusivamente per i propri fini, ammaestrandola a pubblicare esclusivamente notizie incomplete e prive di una forma reale.
Nel nome di Gershkovich e di tutti coloro che sono costretti in gabbia per aver cercato di fare luce nell’oscurità, avanzerà la sfiducia nei confronti della tirannia.