“Ho sentito che alcuni registi, di sinistra, hanno detto che quella del governo è una riforma del cinema pessima. È pessimo dare un contributo di 1 milione e 300mila euro per un film visto da 128 spettatori. È pessimo dare 700mila euro a un film visto da 29 spettatori, sono 25mila euro a spettatore. È pessimo dare un contributo di 2,1 milioni di euro a un film per cui solo il regista si prende due milioni di euro. Questo è pessimo e sono fiera di aver fatto questa riforma”. La riforma di cui parla Giorgia Meloni è quella riguardante la revisione dei meccanismi di concessione del credito di imposta per le imprese di produzione cinematografica e audiovisiva. L’ormai famoso tax credit, ossia la possibilità per ciascun investitore nel cinema e nell’audiovisivo di veder ricompensato il proprio investimento, usufruendo del credito di imposta, in misura proporzionale al conferimento effettuato e nei limiti stabiliti dalla legge (la sua misura è pari, a seconda dei casi, a un minimo del 15 percento fino a un massimo del 40 percento). L’idea poteva anche essere buona, sulla carta, per rilanciare il settore cinematografico italiano, il problema è che negli anni sono stati finanziati film che non hanno raggiunto neanche lontanamente un incasso dignitoso: ad esempio “Sherlock Santa” e “Ladri di Natale”, due film di Francesco Cinquemani costati complessivamente 15 milioni di euro. Per le due produzioni, il Ministero ha concesso un contributo statale di 4 milioni, ma l’incasso dei due film è stato di appena 13mila euro. Nelle cifre da capogiro spuntavano anche compensi milionari per i registi. Ciò ha creato un eccesso produttivo di pellicole alimentato dal sistema di finanziamenti statali. Una mangiatoia in grado di mettere sul piatto una torta da più di un miliardo e mezzo di euro tra il 2022 e il 2023. Soldi sborsati senza alcuna valutazione sulla qualità del prodotto. Sono proprio queste storture che la riforma, lascito dell’ex ministro Sangiuliano, punta a correggere selezionando in maniera più rigorosa le opere che possono accedere ai fondi pubblici, cercando di favorire quelle con una maggiore probabilità di distribuzione in sala. In quest’ottica, si introducono nuovi criteri di accesso al tax credit, basati su tre requisiti fondamentali: la copertura finanziaria privata deve essere almeno del 40% del budget totale del film, deve essere garantito un accordo con un distributore tra i primi venti in Italia e deve essere previsto un numero minimo di proiezioni nelle sale cinematografiche.
FdI: “La prassi di dare soldi dei contribuenti agli amichetti di sinistra è finita”
Il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, dichiara: “Il governo Meloni ha attirato le antipatie di un preciso mondo professionale nel momento in cui si è posto l’obiettivo di cancellare i copiosi finanziamenti pubblici e le consistenti agevolazioni fiscali a film, autori, registi e produttori, tanto affini politicamente alla sinistra quanto dall’apporto culturale scarso o nullo. Come non ricordare, solo per fare un esempio, i film di Ginevra Elkann che per i suoi clamorosi flop ha goduto di ben tre milioni assegnati dal ministero della Cultura ai tempi del ministro Franceschini?”. Il senatore Paolo Marcheschi, capogruppo del partito in commissione Cultura aggiunge: “Il cinema italiano è un patrimonio culturale da preservare. Il cinema è un’industria e come tale può avere un sostegno dai governi, ma che non può diventare una misura di welfare da rivendicare. La prassi di dare soldi dei contribuenti agli amichetti di sinistra è finita, se ne facciano una ragione”.