Fares, l’amico di Ramy, se ne lava le mani: “Io spaventato dai Carabinieri”

Gli avevano dato credito solo gli estremisti di sinistra, istituzioni meneghine e il popolo della sinistra, che per settimane hanno puntato il dito contro le forze dell’ordine, contro l’opportunità di dar il via a un inseguimento per le strade di Milano in piena notte. Come se fosse colpa dei carabinieri se il motorino con a bordo Ramy Elgaml non si fosse fermato al posto di blocco. Ma la Procura prima, e l’ispezione del perito poi, hanno tolto ogni dubbio: “L’inseguimento è stato regolare”. Smentito mezzo mondo politico (di sinistra), che però non ha fatto mezzo passo indietro né ha chiesto scusa agli agenti accusati per settimane sputando sentenze prima ancora di conoscere i fatti.

Fares: “Non volevo perdere la moto”

L’amico di Ramy, Fares Bouzidi, il conducente di quel T-Max che quella notte si schiantò contro un semaforo condannando Ramy alla morte sul colpo, si difende. Interpellato a Dritto e Rovescio, l’accusato di omicidio colposo ha dato la sua versione dei fatti, che però non sembra affatto combaciare con ciò che è stato già spiegato dagli inquirenti nelle scorse settimane: “Sono scappato perché non avevo la patente e non volevo che mi sequestrassero la moto, che era il mio sogno. Ero spaventato perché i carabinieri mi inseguivano. Non mi fermavo perché mi montava l’ansia. Ho sentito un colpo da dietro prima di perdere il controllo del mezzo”. In tutto ciò, però, non c’è una ammissione di colpa, non sembra esserci neppure un dispiacere per essere responsabile – secondo l’accusa – della morte dell’amico di diciannove anni. Niente di tutto questo: soltanto frasi pronunciate per cercare di non far appesantire la sua posizione già molto complessa.

Ma Procura, perito, leggi e filmati lo smentiscono

Peccato per lui, è stato già scritto abbondantemente, anche su queste colonne, che sembra essere tutto a suo sfavore. A partire dall’articolo 55 del codice di procedura penale, secondo il quale “la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”. Dopodiché, sono spuntati i video dell’inseguimento: il primo, quello che ha fatto più scalpore, riprende le parole pronunciate dagli agenti prima e dopo l’impatto. In un secondo momento, arriva il video dei soccorsi, in cui si vede che dall’impatto alla chiamata dell’ambulanza da parte degli agenti passano appena 57 secondi. Gli agenti tranquillizzano Fares, che sembra sotto shock, mentre Ramy sembra già essere privo di sensi. Infine, il video sul presunto speronamento, che emerge non esserci stato: si vede il motorino perdere il controllo e sbattere contro il semaforo, senza il contatto della gazzella dei Carabinieri.

Pochi giorni fa, è arrivato anche il parere del perito, che ha chiarito tutto: “L’inseguimento era regolare”. “L’operato del conducente – si legge nella consulenza tecnica cinematica disposta dalla Procura di Milano, che stava indagando sul fatto – dell’autovettura Giulietta nell’ambito dell’inseguimento, risulta essere stato conforme a quanto prescritto dalle procedure in uso alle Forze dell’Ordine”. Poi il parere che incastra l’immigrato: “È possibile sostenere che le cause del grave sinistro mortale vadano ascritte al comportamento del conducente del motoveicolo Yamaha, Bouzidi Fares, per la sua condotta sconsiderata e pericolosa”. Le sue dichiarazioni in tv, in cui se ne lava sostanzialmente le mani, sono un’offesa prima di tutto all’amico morto, ma anche ai carabinieri, ancora una volta colpevolizzati senza motivo.

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