Federico Rampini, noto giornalista italiano ed autore di molti libri che analizzano lo scenario Geopolitico contemporaneo, è stato ospite alcune settimane fa alla trasmissione “L’Aria che Tira” di LA7, condotta da David Parenzo. Durante la diffusione televisiva, l’editorialista ha affrontato il tema dello “Schiavismo bianco”, asserendo che la matrice arcaica di questo terribile fenomeno non sia da riconoscere esclusivamente nella società occidentale.
Uno dei più grandi traumi dell’attualità è la brutalità con cui le dottrine woke tendono ad impossessarsi e rimaneggiare completamente la storia. Questo, Federico Rampini lo sa bene e tanto per la cronaca non le ha mandate a dire sull’argomento “Schiavitù”, asserendo che i più grandi schiavisti della storia umana siano stati in realtà gli arabi. Durante la conversazione è stato toccato anche il rinomato tema dell’Occidente, infatti, a detta dell’autore e giornalista, nelle università americane si tende ora ad instillare il pensiero che le società nordamericane ed europee siano la causa di tutti i mali.
A questo punto viene spontaneo pensare che all’interno dei College in questione ci sia in realtà una forte intenzione di annientare le tradizioni e le identità dei popoli, al fine di consentire l’avanzamento della Teoria di Genere, sopprimendo scienze fondamentali come l’antropologia e la storia vera e propria.
La verità sembra ormai un tabù non soltanto negli USA, ma anche nelle società europee, tant’è vero che si comincia sempre di più a parlare di colpevolezza dell’etnia bianca per giustificare una quantità indefinita di porcherie commesse da movimenti come BLM e simili in tutto il mondo.
Evidentemente, i nuovi supporters dell’ideologia Woke, oltre alla promozione dei Gay pride e degli arcobaleni, non sapendo che il posto degli ultimi si trovi esclusivamente in cielo dopo la pioggia, mirano alla propria legittimazione mediante lo stravolgimento dell’ordine naturale.
Poco importa se la strategia include la censura, i nuovi finti rivoluzionari saranno sempre pronti ad infangare il nome delle civiltà per costruire società multietniche, torri di babele e nuove menzogne per costruire un fortissimo senso d’odio nei confronti delle civiltà comunemente “bianche”.
Chiaro che questo pensiero non sia comunemente condiviso da tutti, ma il solo fatto che qualche Docente “di sé stesso” possa soltanto pensare di insegnare la storia o qualsiasi altra materia in termini politici e di parte, fa accapponare la pelle, oltre che urtare completamente il sistema nervoso di chi usa il proprio cervello in quanto organo di vitale importanza.
Uomini come Giordan Bruno, nel corso dei tempi, hanno regalato agli uomini il dono della lotta per la verità: sarebbe piuttosto avvilente sporcare il nome ed il dono di uomini come questi per fregiarsi di un ciarpame inconsistente. Seppur colorato ed addobbato, quest’ultimo resterà per sempre il bitume di cui non avremo e non abbiamo mai avuto bisogno.
Un’altra questione sollevata durante l’intervento di Federico Rampini è proprio quella del “Politicamente corretto”, che nella nostra epoca sembra essere diventata la scusa più in voga per tarpare le ali alla libertà dei fatti. Gli avvenimenti andrebbero studiati per ciò che sono realmente: un bavaglio sopra le labbra della storia ci condurrà inequivocabilmente al declino, sarà dunque opportuno tutelare le testimonianze nel migliore dei modi, per fare fronte a chi vorrebbe un mondo annichilito e schiavo di logiche vacue.
Oltretutto, sono ormai frequenti gli usi di una finta “correttezza” per non dire le cose come stanno, con la scusa di non voler urtare la sensibilità di chi ascolta. Altro che pensieri benevoli, queste sono tra le boutade peggiori che la logica del progresso ha da offrire all’umanità.
Bene ha fatto Rampini durante il suo intervento a rammentare quale sia la realtà dei fatti, contro l’intento distopico di chi vorrebbe creare un passato su misura dei propri interessi e di pochi altri che trarrebbero beneficio da una storia all’insegna delle menzogne.
Una cosa è certa: i giusti non si inginocchiano mai di fronte al nulla che avanza, il quale non aspetta nient’altro che i primi si arrendano alle prime intemperie.