Zitti e buoni. Si accomodino i benpensanti della sinistra, la “brava gente” del progressismo italiano. La Feltrinelli e IBS l’hanno fatta grossa. Lo scorso 3 novembre, nei rispettivi negozi online, è apparso il libro “I Protocolli dei Savi Anziani di Sion” pubblicato nel 2016 da Edizioni Segno. La descrizione che accompagnava il volume era la seguente: «Fin dall’inizio sono stati bollati di essere un geniale falso e le motivazioni pro e contro sono tante […]. Veri o falsi che siano, ormai non conta più, perché questi misteriosi protocolli, persino fuori dal loro tempo, si sono rivelati laicamente profetici. Dopo circa 120 anni molti di quei piani, allora solo ventilati, sembrano in gran parte realizzati: la storia conferma che gli appunti protocollati di cui andiamo a proporre una nuova e riveduta traduzione dimostrano che non si trattava di pie fantasie.»
Dopo segnalazioni e proteste piovute sui social, l’editore fondato a Milano dall’omonimo Giangiacomo, ex partigiano nonché attivista rosso negli anni di piombo, ha pensato bene di rimuovere questa didascalia a dir poco imbarazzante. L’ebraismo italiano ha subito espresso il suo sdegno. E ci mancherebbe. Così, la traduttrice Ilaria Piperno: «È sconvolgente che IBS e La Feltrinelli vendano questo nel 2021 nel mio paese. Nella descrizione, priva di qualsiasi contestualizzazione storica, si legge: “veri o falsi che siano, ormai non conta più”. Credo che Liliana Segre non sarebbe d’accordo». La comunità ebraica romana si è chiesta come sia possibile «proporre i Protocolli dei Savi di Sion – libro chiave della propaganda antisemita – senza una nota che ne evidenzi la falsità?». Analogo è stato lo stupore della coordinatrice nazionale per la lotta all’antisemitismo Milena Santerini: «Davvero incredibile Feltrinelli che si possa diffondere un libro così pericoloso scrivendo che i Protocolli potrebbero essere “veri o falsi” […]».
Ora, non sono certo in questione le libertà fondamentali di pensiero, espressione e pubblicazione. Sine ira et studio e nei limiti consentiti da leggi, buon senso e buon gusto si può e si deve scandagliare ogni piega dello scibile umano, finanche l’abisso della storia delle idee, finanche quell’oscuro brodo di cultura antisemita che all’inizio del Novecento ispirò tutti i totalitarismi del secolo, appiccando il fuoco della Shoa.
In questione è la pessima “svista”, la colpevole opportunità di accompagnare la vendita di un libro, prodotto da un piccolo editore della nicchia catto-integralista, con una nota che le stesse Edizioni Segno hanno successivamente ritirato.
Ma ancor più in questione è la “fedina” morale, culturale e ideologica della sinistra italiana. Siamo proprio sicuri che la gaffe de La Feltrinelli sia un mero scivolone, magari dovuto a un frettoloso e disattento copia-incolla? No, non è così.
I “Protocolli dei Savi Anziani di Sion” è un documento prodotto ad arte agli inizi del Novecento – attribuibile secondo alcuni studiosi alla polizia segreta russa – per dimostrare l’esistenza di un occulto piano ebraico per la conquista del mondo attraverso società segrete, finanza e mass media. Questo grande classico della letteratura antisemita di tutti i tempi è stato sbugiardato da studiosi e divulgatori, tra i quali vogliamo ricordare anche Sergio Romano, autore de “I Falsi Protocolli“, riedito da Longanesi una decina di anni fa. Ma che la sinistra abbia problemi con l’ebraismo è confermato anche da una grande quantità di studi recenti.
In un articolo pubblicato dall’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici, Joel Terracina ha ripercorso l’evoluzione storica dell’antisemitismo a sinistra. La Guerra dei Sei Giorni (5-10 giugno 1967) e la marea montante delle contestazioni sessantottine generarono un violento odio per Israele, lo Stato ebraico che aveva dato rifugio ai sopravvissuti all’Olocausto. I Palestinesi, e il mondo arabo-musulmano che aveva per secoli impedito ogni libertà religiosa e ogni stato di diritto in Medio Oriente, furono identificati come vittime, come “i dannati della terra”. Un ruolo decisivo nella elaborazione di questa nuova narrazione politica lo ebbe proprio Feltrinelli che iniziò a pubblicare gli scritti di intellettuali e attivisti palestinesi, da Fayez Sayegh a Asad Abdul Rahman e Sami Hadawi. Costoro negavano la legittimità ab origine dello Stato ebraico. Negli anni Settanta, con la Guerra del Kippur (1973), Lotta Continua e Il Manifesto diedero ampio spazio alle posizioni anti-israeliane, proponendo una lettura manichea del conflitto mediorientale. La teoria marxista della lotta di classe contribuì alla rappresentazione degli israeliani come i borghesi oppressori e dei palestinesi come il proletariato oppresso. Nel 1982, Israele invase il Libano e sul Manifesto Valentino Parlato tuonò contro lo Stato ebraico, paragonandolo alla Germania nazista e accusandolo di “genocidio” e parlando addirittura di “soluzione finale”. Anche su Rinascita e l’Unità, settimanale e quotidiano del Pci, i toni s’inasprirono e “Peppone” superò “don Camillo”, attingendo dal vecchio cattolicesimo preconciliare tutti gli stereotipi della cultura cristiana dell’amore versus la cultura ebraica dell'”occhio per occhio, dente per dente”. E ancora, ai giorni nostri, col pretesto dalla critica a Israele, sempre più numerose sono le manifestazioni di ostilità contro il mondo ebraico tout court: si va dal boicottaggio dei prodotti israeliani ad aggressioni personali e intimidazioni anche nei confronti di eventi per la memoria della Shoa, dalle parole dell’accademico Alberto Asor Rosa che ha definito gli ebrei “razza perseguitata ora divenuta guerriera” alla volgarità dello chef Rubio che ha deriso gli israeliani chiamandoli “Rabbi“.
Insomma, se Giangiacomo Feltrinelli non fu Franco Freda, la sinistra intellettuale italiana non è nuova all’antisemitismo. La gaffe sui Savi di Sion non è stato certo un episodio isolato, ma l’ennesima pagina di una storia culturale e politica che in questa materia ha molti scheletri nell’armadio.