Filippo Facci che distrugge Scanzi.

FELTRI, TI PREGO, ANDREA SCANZI NO

(Un ritrattino scritto malvolentieri)

Spettabile Vittorio Feltri,

vorrei spiegarle perché l’articolo che Lei mi ha chiesto mi mette in una difficoltà imbarazzante. Di norma io rifiuto di scrivere articoli che contraddicano i miei principi morali (ne ho ancora qualcuno) ma non è questo il caso, a dir il vero: qui è peggio, perché Ella mi ha chiesto di scrivere nientemeno che un «ritratto» di Andrea Scanzi, personaggio che da subito avrei difficoltà a definire (giornalista? Opinionista? Egolatra?) e questo dopo che Lei, direttore, ha rifiutarto a pubblicare una semplice pagina bianca come le avevo suggerito.

La mia prima difficoltà è che per descrivere Scanzi sarei costretto a descrivere un’intera epoca, che è notoriamente un’epoca dove tutto (niente) è comunicazione e le parole sono un flusso inarrestabile e senza vera importanza, ogni gabbia è stata aperta in virtù della «democrazia del web», dove a destra trovi un carpentiere che ti urla «stronzo» e a sinistra trovi Scanzi che te lo urla dalla tv. Si preferisce surfare sulle superfici e non si approfondisce più nulla, se non ogni tanto, sui giornali che ormai leggono in pochi.
Mi fermo qui per dire, insomma, che abbiamo i grillini al governo e abbiamo uno come Scanzi opinionista: e mi sembra tutto, perfetto, coerente. Il giornalista non è il mezzo, il giornalista è il fine. Non si guarda il telegiornale: si guarda Mentana (che mi piace e stimo). In un campo forse più vicino all’intrattenimento, si guarda Scanzi. Il quale, per come lo conobbi, non mi era neanche particolarmente antipatico. Il problema è che di recente ha detto che lui rappresenta «ciò che io avrei voluto diventare, senza riuscirci», e questo ora mi mette in difficoltà.

Procedo lo stesso.

La prima volta che ne sentii parlare, è perché parlò male di me in un libro che idolatrava Beppe Grillo. Poi se la prese anche con Giuseppe Cruciani, quello della Zanzara. Ho notato che Scanzi tende a prendersela con chi individua come dei concorrenti non troppo anziani e che non facciano troppo schifo alle donne.
Successivamente affiancarono me e lui in qualche duellino verbale su La7, e quando una volta gli feci nettamente il mazzo ebbe l’onesta di ammetterlo: «Eri in forma, accidenti»; «sì, ma ti rendi conto che non abbiamo detto nulla? Nulla», risposi. Poteva anche capitare che vincesse lui. O che pareggiassimo. Perché sono cazzate, vacuità, dialettica, parolame, battutine preparate, prontezza di riflessi, non conta avere argomento o addirittura ragione. E così ormai è tutto il parolame televisivo. Quasi tutto, via.

In seguito ci ritrovammo sotto lo stesso tetto in un periodo in cui il giornalismo si stava trasformando, cioè eravamo organizzati da una «agente» che tentava di orientare le carriere mia, di Cruciani e di Scanzi: io mi ritirai quasi subito pert inadeguatezza (soprattutto per la mia ingestibile tendenza a mandare tutti affanculo) e così fece Cruciani dopo un po’ di tempo, mentre Scanzi rimase con l’agente e con la netta proiezione verso un nulla di grande successo. Buon per lui.
Così solo una cosa pare certa, oggi: io, Cruciani e Scanzi figuriamo come «giornalisti», ma facciamo tre mestieri diversi. E’ innegabile. Solo che Scanzi è l’unico che si preoccupa regolarmente di puntualizzare che ad avercelo più lungo è sempre lui. Non tanto rispetto a noi due: rispetto al Pianeta. E’ pazzo di sè.

Detto senza acrimonia, Scanzi ha lasciato le briglie di ogni sua recondita insicurezza (purtroppo è roba ineliminabile: in generale ha dato forfait anche la psicoanalisi) e così, un tempo, ti capitava di leggere le grandi firme e ti ritrovavi le dita sporche d’inchiostro: oggi leggi Andrea Scanzi ed eccole sporche di fondotinta. «Siamo la generazione dell’io» ha detto una volta, ergendosi ad archetipo. «Ho un ego che fa provincia» ha rimarcato in un’altra occasione, come se ammetterlo fosse un’attenuante. Tutte cose che si sapevano, dopodiché si tende a pensare che naturalmente ci sarà un limite.

No. Non c’è.

Scanzi è il più grande celebratore di se stesso che sia capitato di vedere in ogni campo. Lui non lascia o non provoca che circolino voci su di lui. Le dice direttamente. Donne? Lui ne ha avute di «meravigliose» (io ne ho viste solo due, serberò in mio giudizio: una si chiamava Emerenziana, simpatica, l’altra era Selvaggia Lucarelli, no comment) e per il resto si è immerso nella peggio schiuma dell’effimero: ha risposto a domande sulla sua abbronzatura, sulle lampade solari, sul fondo tinta televisivo, sul gel autoabbronzante, ha raccontato di andare dall’estetista, ovviamente i suoi gusti sessuali (cose di piedi e di sandali) e insomma una vita così, tra una bulimia mediatica e l’altra, e nuove campagne, nuove manie.

Twittò nel 2015: «Sempre più fiero di essere vegetariano (mentre Cruciani faceva il carnivoro professionista), sempre più atterrito da una crudeltà così smisurata». Io però me lo ricordavo nella primavera passata da Cesarino, in centro a Perugia, a scofanarsi quintali di carne in un ristorante specializzato in carne. Poi forse aveva cambiato idea.

Più di recente si è inventato la passione per la corsa (come Cruciani) ma ha fatto ridere tutti gli appassionati d’Italia pretendendo d’aver registrato sulla distanza della mezza-maratona (21km) un tempo degno dei record italiano della categoria senior, suscitando l’ilarità degli addetti ai lavori. E’ fatto così: oltretutto ha le gambe a X.

Un altro esempio? Forse saprete che la stringatezza nel descriversi (tipo nei risvolti dei libri) è sinonimo di eleganza e di consapevolezza; bene, guardate che cosa scrive, tra un milione di altre cose, Scanzi di se stesso: «Mi occupo di quasi tutto… cultura e spettacoli, sport, politica, costume, sociale, enogastronomia e (ove possibile) sadomaso. Sono, tra le altre cose, sommelier degustatore ufficiale (AIS) e assaggiatore di formaggi (ONAF). Sono anche vegetariano… Sono stato tra i primi in Italia a credere nella letteratura sportiva, a raccontare il percorso politico di Beppe Grillo e a fotografare il renzismo… Sono stato il padrino della maratona di Alba». Scanzi è uno di quelli che accetta i premi giornalistici senza imbarazzi, anzi, nella sua lunghissima biografia su internet elenca anche i noti premi Galvanina, Casentino, Pigro, Lunezia e Caccuri.

Scanzi non ha figli, ma in un’intervista a Vanity Fair ha offerto il fianco a una possibile resipiscenza: «Mi dispiacerebbe non continuare la stirpe Scanzi». Troverà un’incubatrice all’altezza?

Descrivere tutto il resto è inventariare il suo legittimo iperattivismo: e tanto dirà che sono invidioso di lui, c’è da giurarci.
Su wikipedia (chissà chi ha scritto le varie voci) apprendiamo che è pubblicista, ha scritto per Il mucchio selvaggio, il manifesto, Il Riformista, L’Espresso, Panorama, MicroMega, Linea Bianca, Tennis Magazine, Grazia e Donna Moderna, La Stampa, Il Fatto Quotidiano (politica, musica e sport), autore e interprete di spettacoli su Giorgio Gaber e Fabrizio De Andrè, vari eroi dello sport, trasposizioni di suoi libri (come Travaglio) e naturalmente ospite pagato per La 7 e Rai3. Come conduttore non ha lasciato segni indelebili (Reputescion, Futbol, The Match, Accordi&Disaccordi e altra roba che vabbeh. Il punto è che l’insulto non propriamente raffinato è la sua regola, requisito utile per piacere al ventre molle del Paese.

Costantino della Gherardesca ha parlato del suo «look da vecchio discotecaro morto di figa» ma io sono stato più gentile: l’ho definito un insaziabile «grimpeur». Sta di fatto che passa giornate a contare i «like», la classifica del libretto, i seguaci, i follower e quant’altro come non fa nessuno al mondo che non sia un bimbominchia di 12 anni. Uno così non si è visto mai, sul serio. A Briatore, seguito ogni mese da 20 milioni di persone, Scanzi ha detto che «non l’ascolta nessuno».
Naturalmente dice un sacco di cazzate (capita) e tra le più recenti c’è il video-sfogo del 25 febbraio contro i suoi colleghi che dedicavano troppo spazio al Coronavirus: «Basta», urlava avvolto in un giubbino di pelle, «lo volete capire o no che si tratta di un semplice raffreddore? Non è una malattia mortale, ma quale pandemia!». Il Fatto Quotidiano, in un articolo che annoverava chi le aveva sparate più grosse sull’innocuità del virus, si è dimenticato di citarlo. Ora Scanzi è tra i più strenui difensori dell’attività di Giuseppe Conte nel contrasto al morbo, come Travaglio ordina.

Durante una delle ultime puntate di «Accordi e disaccordi» su La9 (soprannominato «Accordi senza disaccordi») il giornalista Luca Sommi intervistava il premier Giuseppe Conte. A terra – forse una trovata dell’arredatore – c’era un tappeto piallato per benino, tipo pelle di leopardo senza unghie: era Andrea Scanzi.
Emilio Fede – e non stiamo scherzando – proprio sabato ha detto di aver forse individuato in Scanzi un suo erede: con idoli diversi, certo, ma stesso stile.

https://www.facebook.com/ffacci/posts/10158259734467103

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