A pochi giorni dall’anniversario delle Fosse Ardeatine il tema rimane caldo e se ne continua a parlare, soprattutto a seguito delle dichiarazioni del Presidente Meloni, che ha definito, a ragione, l’episodio come “una strage che ha segnato una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale.”
Perché, del resto, di questo si tratta: della morte di 335 italiani.
A cercare di dar voce alla verità è una delle vittime della strage di quel lontano 24 marzo 1944. Una verità che è spesso messa in discussione da quella sinistra che addirittura cerca di mistificare la storia e di trovare giustificazioni di ogni tipo pur di non riconoscere le azioni spesso crudeli messe in campo dai partigiani, tra cui lo stesso attentato di Via Rasella.
È quindi Liana Gigliozzi che, in una recente una recente intervista al quotidiano Libero, ha parlato di una “responsabilità storica e morale” in merito all’eccidio delle Fosse Ardeatine. La Gigliozzi in quell’occasione perse il padre ed è lei stessa una vittima, così come lo sono tutta la sua famiglia e le famiglie delle altre 334 vittime, che hanno perso i propri cari e che hanno dovuto convivere con un simile dolore per tutta la vita.
Un dolore che è stato causato successivamente a quel gesto “eroico” del 23 marzo 1944, come sovente viene definito dai partigiani, che colpì 33 tedeschi, che di rimando decisero di ammazzare brutalmente e senza distinzione oltre 300 italiani. Fu infatti disposta, immediatamente dopo l’attentato partigiano, l’uccisione di 10 italiani per ogni soldato tedesco colpito.
Nel corso dell’intervista la Gigliozzi conferma anche che “Il premier ha dichiarato la verità. Che cosa vogliono dimostrare i critici? Non era vero? Ne presero dieci per ogni tedesco. Non solo antifascisti. Furono ammazzati in quanto italiani, a prescindere dalla loro appartenenza politico o religiosa. Mio papà stava al bar, era socialista ma è morto con la giacca bianca da lavoro…”
Una dichiarazione, questa, che assume una valenza decisamente significativa, perché la storia viene raccontata direttamente da chi l’ha vissuta in prima persona. Ciò che è accaduto in quel marzo del 1944 prescinde dal credo politico e dalle varie interpretazioni che spesso vengono date in merito a questa drammatica vicenda. La morte di 335 italiani innocenti rimane una triste pagina della nostra storia nazionale, che si sarebbe potuta evitare semplicemente prendendo consapevolezza che a quel famoso attentato di Via Rasella sarebbe necessariamente seguita una sentenza di morte da parte tedesca.