Fusione del centrodestra? FDI risponda “no, grazie”.

Non siamo certi che la federazione (o fusione) del centro destra di governo sia in cima all’interesse degli italiani e che impedisca loro di dormire di notte. Eppure il ceto politico (ma sarebbe meglio dire politicistico) e giornalistico da giorni non parla d’altro (l’orgasmo dell’organigramma!) . Né siamo cosi maliziosi, come Francesco Verderami sul “Corriere della Sera” di oggi, dallo scrivere che l’unico obiettivo della fusione è avere più voti di Fratelli d’Italia e impedire a Giorgia Meloni di diventare premier.

Vorremmo solo far capire perché Fratelli d’Italia fa benissimo a stare fuori dall’operazione fusione o federazione. Per quattro ragioni: storiche, contingenti, di medio periodo e identitarie

Quelle storiche: nel nostro paese , ma anche in altri (si pensi al naufragio dell’Ump nata dalla fusione di giscardiani e gollisti) tutte le volte che due partiti si sono uniti hanno sempre ottenuto meno voti di quanto avevano raccolto in precedenza. Inoltre, o per questa ragione, si sono sciolti pochi anni dopo o sono diventati marginali. Non occorre del resto essere molto anziani per ricordarsi della debacle del Pdl. Unica eccezione il Pd. Che si, a parte le Europee renziane, ha sempre raccolto meno voti degli ex comunisti ed ex dc separati ma che non si è sciolto. Ma sicuri che il Pd sia un partito e non un conglomerato di blocchi di potere e di interessi corporativi, tenuti assieme solo dal fatto di essere il partito della burocrazia e del deep state?

Ragioni contingenti. Un partito all’opposizione non si può federare con altri due che stanno al governo. La politica barocca e il trasformismo hanno raggiunto vette inarrivabili ma oltre una certa soglia non è bello prendere per i fondelli gli elettori

Ragioni di medio periodo. La federazione non sarebbe una buona idea (o almeno non lo sarebbe per Fdi) neppure al momento del voto. Un conto infatti è presentare candidati e un programma comune, fondato sulle diverse sensibilità. Un conto  è far parte di un medesimo partito (la federazione è solo la pillola dolce linguistica per far passare la fusione). Fratelli d’Italia rivendicherebbe temi che l’hanno fatto crescere all’opposizione ma che certo non potrebbero essere raccolti dalle forze di governo: la mediazione non sarebbe possibile facendo parte di una stessa forza politica, il cui leader sarebbe si presume Salvini. Le medesime tensioni si riprodurrebbero, a livello assai più pervasivo, al governo. Avere maggioranze costituite da quindici partiti è un orrore, ma anche governi bipartitici come il Conte I o il Conte II non è che abbiano brillato. Senza contare che l’habitus politico degli italiani è “multipartitico” e non apprezza il “partito unico” di destra o di sinistra.

Ultima ragione di carattere identitario. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia sanno chi sono. Conservatori europei, o nazional conservatori, il che è qualcosa di molto preciso. La Lega e Forza Italia invece sanno invece quale sia la loro cultura politica di riferimento? È sovranista la prima? In teoria si, visto che siede accanto ai lepenisti, però si definisce a volte anche “liberale” e addirittura “federalista”, due termini che fanno accapponare la pelle a Le Pen. Quanto a Forza Italia, è liberale e popolare, va bene, ma se lo è, come fa a fondersi con un partito sovranista? Il Ppe appena sente parlare di Le Pen mette mano alla pistola. Certo, la Cdu potrebbe spostarsi a destra ma al momento è difficile, visto la continuità del post Merkel e soprattutto il crollo nei sondaggi dei Verdi (il che fa ritornare i dc tedeschi in pole position per guidare la Cancelleria). A meno che la Lega non entri nel Ppe…

Di certo nel Ppe non entrerà Fratelli d’Italia che , se la fusione riuscisse, dovrebbe coltivare il suo profilo di destra moderna neo conservatrice, laddove il “Lega Italia” potrebbe ambire a coprire l’area di centro. E poi agli italiani scegliere quali saranno il messaggio e il  leader più convincente

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Marco Gervasoni
Marco Gervasoni
Marco Gervasoni (Milano, 1968) è professore ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise, editorialista de “Il Giornale”, membro del Comitato scientifico della Fondazione Fare Futuro. Autore di numerose monografie, ha da ultimo curato l’Edizione italiana delle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia di Edmund Burke (Giubilei Regnani) e lavora a un libro sul conservatorismo.

1 commento

  1. Grazie Professore, lei centra sempre il punto esatto delle questioni. Almeno per me. Non credo che questa fusione possa dare buoni frutti. Non creerebbe neanche confusione, la quale a volte è anche divertente. Tutto a posto, lei? Non so chi leggerà ma non mi importa niente. Io ho scritto una lettera che devo spedire o consegnare a mano. Buonanotte

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