Per decenni, ogni volta che l’Europa si trovava davanti a un bivio, bastava una sola parola per stabilire la direzione da prendere: Germania. Era Berlino a dettare le regole, a indicare i parametri economici, a misurare le virtù di bilancio, a dettare la linea dell’Unione nei confronti del resto del mondo.
Ma nel 2025, qualcosa si è rotto. Il motore tedesco tossisce, si inceppa. E mentre la sua potenza industriale vacilla, un’altra nazione — l’Italia — comincia a muoversi, non più timidamente, nello spazio che si sta aprendo.
Il gigante d’Europa ha perso la spinta
Secondo quanto riportato da Reuters, le principali istituzioni economiche tedesche hanno drasticamente rivisto le previsioni di crescita per il 2025: dallo 0,8% stimato inizialmente, si scende a un misero +0,1%. Ma il dato più preoccupante è un altro: la possibilità concreta che la Germania affronti il terzo anno consecutivo di contrazione economica. Sarebbe un evento senza precedenti nella storia recente.
I motivi? Numerosi e intrecciati. La crisi strutturale del settore automobilistico tedesco, messo in crisi dalla transizione ecologica spinta e dalla concorrenza cinese. L’aumento del costo dell’energia a seguito della rinuncia al nucleare e delle tensioni con la Russia. Le rigidità interne del mercato del lavoro e, ora, anche i dazi imposti dagli Stati Uniti su acciaio, alluminio e auto europee.
L’ex “modello tedesco”, fatto di esportazioni, surplus commerciali e controllo ferreo dei conti pubblici, sembra improvvisamente non funzionare più. E anche le ricette tradizionali — come il piano di investimenti da 500 miliardi annunciato dal nuovo governo guidato da Friedrich Merz — appaiono più come una corsa ai ripari che una visione strategica.
L’Italia si muove, e lo fa con un passo diverso
In questo vuoto di leadership economica e politica, l’Italia si muove. E lo fa con un passo nuovo.
Dall’inizio del suo mandato, il governo guidato da Giorgia Meloni ha adottato una linea chiara: riacquisire centralità, non solo nei tavoli europei, ma nel Mediterraneo, in Africa, nel rapporto con le grandi potenze globali.
Il Piano Mattei per l’Africa — proposto, voluto e sostenuto con forza dalla Presidenza del Consiglio — non è solo un programma di cooperazione. È una visione geopolitica che mira a restituire all’Italia un ruolo strategico, trasformando le sue vulnerabilità in risorse: la posizione geografica, la dipendenza energetica, i flussi migratori.
Nel frattempo, l’Italia ha avuto il coraggio di rimettere in discussione vecchi tabù ideologici. Il ritorno del dibattito sul nucleare, la difesa del Made in Italy agroalimentare contro i diktat del Green Deal, il rallentamento delle follie ideologiche sull’auto elettrica a ogni costo: tutto indica una postura più pragmatica, meno subalterna, più consapevole delle proprie priorità.
Cambio di scena in Europa: il vento gira a Sud
Per anni si è detto che l’Italia dovesse “fare i compiti a casa”. Che dovesse imitare la Germania, diventare “virtuosa” nel senso tedesco del termine. Ma oggi, con Berlino in affanno e Roma in ripresa, quella narrativa vacilla.
Non si tratta di cantare vittoria troppo presto, né di negare le difficoltà strutturali dell’Italia. Ma è evidente che l’Italia ha smesso di accontentarsi del ruolo di spettatore. Sta costruendo una sua agenda, e lo fa con credibilità crescente: lo dimostra la presenza sempre più centrale della Meloni nei vertici internazionali, l’attenzione ricevuta dalle cancellerie straniere, e il fatto che oggi — in Europa — si discute e si media, ma non si impone più come una volta.
Fine dell’imitazione: ora si fa da sé
Non è più tempo di imitare modelli in crisi. L’Italia non è la Germania, e oggi questo è un punto di forza. La nostra economia, pur con i suoi limiti storici, è più flessibile, più diversificata, meno esposta ai colossi industriali in crisi.
Il Paese ha cominciato a riconoscere — e difendere — le sue specificità. E lo ha fatto con una guida politica che ha avuto il merito di rimettere l’interesse nazionale al centro del dibattito. Il governo Meloni ha invertito una rotta ventennale: meno subalternità ideologica, più decisione nei consessi internazionali, più pragmatismo nell’affrontare le crisi.
L’Italia ha alzato la testa. E l’Europa se ne è accorta
L’era della Germania al timone non è ancora finita, ma è in discussione. E mentre Berlino rivede le sue priorità, è Roma a dettare alcune delle nuove coordinate del dibattito europeo.
Per la prima volta dopo molti anni, l’Italia è ascoltata non per dovere, ma per autorevolezza. E il merito va anche — e soprattutto — a chi oggi la rappresenta, con fermezza e visione.
Forse, dopo tanto tempo, non siamo più in coda al treno europeo. E forse, stavolta, siamo noi a scegliere la direzione.