Giorgia Meloni e la sua riforma della giustizia attesa da trent’anni

Ben trenta anni sono occorsi per arrivare alla riforma della giustizia. Una riforma che, dopo essere stata varata in Consiglio dei Ministri, in attesa ora dell’approvazione parlamentare, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni non ha esitato a definire “epocale”. Epocale specialmente in relazione alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, quella separazione tra accusa e difesa che dovrebbe essere garanzia di giustizia, per evitare la formazione di interessi secondari. Epocale anche perché istituisce di fatto un secondo Csm, che va ad affiancare il primo, quello storico, che da ora sarà scelto tramite sorteggio. L’Alta Corte Disciplinare, così si chiamerà il nuovo organo, servirà per tutte quelle decisioni in merito agli illeciti dei magistrati. L’obiettivo, detto in parole spicciole, è smantellare quel sistema in cui i magistrati se la cantano e se la suonano da soli, quel sistema insomma di correnti interne che dilania la magistratura, che penalizza i giudici più intransigenti, lontani da certi interessi, e che priva il mondo giuridico di quella terzietà sulla quale dovrebbe poggiarsi.

Il P.M. non deve essere un paragiudice

La riforma è epocale anche per il lungo tempo in cui è stata attesa. Lo diceva già Giovanni Falcone, il magistrato anti-mafia ucciso da Cosa Nostra nella strage di Capaci: “Il P.M. non deve avere nessun tipo di parentela con il giudice e non deve essere, come invece oggi è, una specie di paragiudice. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il P.M. sotto il controllo dell’esecutivo”. Fu questa la risposta alle critiche di Giorgia Meloni, contro chi “accusa il Governo di aver approvato una riforma della giustizia “nemica della magistratura”.

Una riforma voluta da Giorgia Meloni

Dunque è chiaro, è lampante, la tesi viene corroborata anche da mostri sacri come il giudice Falcone: la divisione delle carriere, e in generale la riforma della giustizia, serve ed è un bene per la Nazione. E ben si incasella, in questo contesto, la protesta di diversi magistrati, dell’Anm, per i quali diventerà sempre più difficile non attenersi a quella imparzialità che è, o dovrebbe essere, prerogativa del giudice. Una riforma, dunque, epocale. Una riforma voluta e ottenuta da Fratelli d’Italia e da Giorgia Meloni: nessuno, negli anni precedenti, era riuscito a portare, quantomeno al vaglio del Parlamento, un testo così carico di contenuti e di importanza. Talvolta per semplice negligenza e indisponibilità, talaltra perché impossibilitati per altre motivazioni. Il Governo Meloni è riuscito in questa che possiamo definire un’impresa: quella di lottare contro un sistema incallito e pluridecennale, a difesa – come spiegato dalla stessa Giorgia Meloni – di quella “stragrande maggioranza di magistrati che vogliono solamente fare il loro lavoro, senza per questo doversi piegare alla logica delle dinamiche politiche o delle dinamiche correntizie”.

Il Governo delle grandi riforme

Si può dire che questo sia il Governo delle grandi riforme: dalla riforma fiscale, che ha consentito agli stipendi più bassi di reggere l’urto di una forte inflazione, alla riforma del premierato, che riconsegnerà stabilità a una Nazione in costante ricerca di serietà, fino ad arrivare alla riforma della giustizia. “In molti – ha spiegato Giorgia Meloni – hanno detto e scritto in questi mesi che non avremmo mai avuto il coraggio di presentare questa riforma, che è una riforma attesa da decenni. Evidentemente non conoscono la nostra determinazione”. E questo, perché “quando è giusto fare qualcosa nell’interesse dell’Italia e degli italiani, noi semplicemente lo facciamo”. È solo l’ultima delle promesse mantenute da Giorgia Meloni e dal suo governo.

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