La ricorrenza del Giorno del Ricordo mette a tema antiche e nuove torture, nonché storture, tanto storiografiche quanto politiche. Silenzi assordanti e parole ingombranti, scritte vergognose lungo sentieri non ancora pacificati della memoria. Uomini, donne, bambini persino, i cui volti e le cui storie infastidiscono, “inquinano” narrazioni e ricostruzioni, mettendo in discussione letture manicheistiche di un vissuto pensato e agito. La cultura, la conoscenza, la seria analisi degli eventi, quali antidoti per sottrarsi al doppiopesismo indigesto e pseudoetico dei depositari unici del sapere, oggi come ieri. La giustizia esibisce una natura differente da quella della vendetta, avocando serietà metodologica, onestà intellettuale, pietà e misericordia. Non si tratta di semplici battaglie identitarie, di pose stanche ed estenuate, di anacronismi diffusi: la questione in gioco è ben più profonda, cioè quella riguardante la dignità dell’umano. Chi o cos’è l’uomo? Che cosa desidera diventare? Quale destino decide quotidianamente di abbracciare, nell’imprescindibile legame con il prossimo, con l’amico e il nemico, con il vicino e il lontano? Di fronte ai drammi e alle tragedie, di ogni epoca e colore, frutti nefasti di ideologie criminali, come ci si posiziona individualmente e collettivamente? L’ignavia postmoderna sul sangue versato dagli innocenti appare altrettanto colpevole, non meno dell’odio e del negazionismo, buchi neri ultimamente inespugnabili, incubi notturni arroccati tenacemente all’interno di mura e confini mentali ristretti, infimi, cupi e infelici. L’uomo è creatura incompleta e fallibile, cangiante e camaleontica, libera di scegliere logiche di morte o di tendere la mano per sanare antiche ingiustizie. La scelta tra i carnefici e le vittime, nonché il giudizio critico e informato da assumersi all’interno, e dinanzi, alle singole vicende della storia dell’umanità, tocca a ciascuno di noi. Si tratta di una responsabilità inderogabile e di un atto di verità verso se stessi.