Giudici e attivisti: il magistrato del ricorso alla Corte Ue difendeva l’utero in affitto

È notizia di ieri che il tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia europea il decreto legge emanato dal Governo sui Paesi sicuri, la lista di Stati le cui condizioni interne permettono il rimpatrio dei migranti clandestini che giungono da noi nel rispetto del diritto internazionale e umanitario. La richiesta dei magistrati bolognesi è quella di comprendere se in caso di contrasto fra le normative, quella nazionale e quella comunitaria, prevalga la seconda. Lo fanno supportando alcune tesi alquanto strambe, quale: “Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista”. Per Sara Kelany, onorevole di Fratelli d’Italia e responsabile Immigrazione del partito, si tratta di un’ordinanza “di una gravità incommensurabile” e “dimostra chiaramente il perché i giudici non possano sostituirsi allo Stato nella definizione dei Paesi sicuri”. Le tesi dei giudici bolognesi sono state commentate ieri anche dalla premier Giorgia Meloni ospite a Cinque Minuti e poi a Porta a Porta: “L’argomento della Germania nazista è efficace sul piano della propaganda, sul piano giuridico è debole”. Un messaggio chiaro: i giudici tornino a fare i giudici.

C’è un pregiudizio ideologico?

È sempre più chiaro dunque che la terzietà della magistratura è sempre più messa a dura prova da (pochi) giudici che fanno valere le proprie idee politiche, malgrado possano liberamente scegliere di astenersi dal giudizio, anzi siano obbligati a farlo, se coinvolti. Il caso emblematico è quello della giudice Iolanda Apostolico, che dichiarava “illegittimo” il decreto Cutro mentre veniva beccata alle manifestazioni pro-migranti. Ma anche la giudice Silvia Albano, quella della sentenza del tribunale di Roma che ha fatto ritornare in Italia i migranti diretti in Albania, ha un passato da “attivista”: in un discorso tenuto in audizione alla Camera nell’aprile del 2023, la giudice ritenne la negazione della maternità surrogata – il tema dell’intervento – un’“offesa alla dignità della donna”. A ben guardare non sono le uniche. Dietro il rinvio del tribunale di Bologna c’è infatti il nome del giudice Marco Gattuso, che è molto più di un semplice attivista: nel 2019, infatti, il magistrato inviò una lettera al governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini proprio nei giorni in cui in Consiglio regionale discuteva della gestazione per altri come violenza sulle donne. Gattuso volle raccontare a Bonaccini la sua esperienza da fruitore dell’utero in affitto: “Insieme al mio compagno con cui sono unito civilmente – raccontava, come riportato oggi da La Verità – sono papà di un bambino di quasi cinque anni, nato in California grazie a una gestazione per altre o altri. Abbiamo letto con profondo stupore che i consiglieri della nostra Regione si appresterebbero a discutere un emendamento che assimilerebbe il modo in cui è nato nostro figlio a una forma di “violenza” o una “lesione della dignità della donna”. Noi, come può immaginare abbiamo fatto nascere nostro figlio nel pieno rispetto delle leggi italiane che impediscono la gpa i Italia ma certo non all’estero – ma non è più così, essendo ora reato universale, perseguibile cioè anche all’estero, grazie alla maggioranza di centrodestra – e delle leggi americane, dove la gpa è ritenuta, sin dal 1993, un esercizio della autodeterminazione della donna”. Ma Gattuso è anche intervenuto a un convegno tenuto a Roma lo scorso aprile, presso l’ateneo di Roma Tre, dal titolo “Immigrazione in Europa e diritti fondamentali. Quale progetto per la prossima legislatura europea?”. Era presente anche Silvio Albano. È dunque legittimo quantomeno chiedersi se nelle scelte di questi giudici ci sia o meno un pregiudizio ideologico.

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