In una recente intervista rilasciata a Fox News, la Segretaria all’Agricoltura degli Stati Uniti, Brooke Rollins, ha chiarito che l’amministrazione del presidente Donald Trump non ha intenzione di continuare a importare carne proveniente dall’Argentina, né da altri Paesi. “Metteremo gli Stati Uniti al primo posto. Non la Cina, non l’India, non la carne dall’Argentina, né i latticini dal Canada”, ha dichiarato con fermezza Rollins, rafforzando la linea protezionista che contraddistingue l’attuale governo.
Le dichiarazioni sono arrivate nel contesto di un’analisi delle misure esecutive che il presidente Trump sta promuovendo per proteggere i produttori locali dalla concorrenza straniera. Rollins ha assicurato che il presidente è impegnato con i lavoratori del settore agroalimentare e disposto a lottare “più duramente, in modo più intelligente e strategico” di qualsiasi altro leader per il benessere degli americani.
La funzionaria ha anche sottolineato che il sostegno al presidente proviene direttamente dai produttori stessi: “Sentire il pescatore di gamberi e l’allevatore dire che sono dalla parte di questo presidente dimostra che comprendono bene la sua visione. E che credono che ciò che fa sarà un bene per loro stessi e per le loro famiglie a lungo andare.”
La posizione di Rollins e del governo statunitense non è nuova, ma si intensifica in un contesto di crescenti tensioni commerciali globali e di ricerca dell’autosufficienza alimentare. Puntando direttamente contro prodotti importati come la carne argentina, viene lanciato un chiaro segnale ai mercati: gli Stati Uniti daranno priorità alla produzione interna e cercheranno di ridurre la dipendenza da alimenti esteri.
Ciò potrebbe avere un forte impatto sull’industria della carne argentina, che da anni lavora per consolidare la propria presenza nei mercati internazionali, compreso quello statunitense. Una possibile riduzione o blocco delle importazioni dall’Argentina non solo colpirebbe economicamente il Paese sudamericano, ma rappresenterebbe anche un passo indietro nelle relazioni commerciali tra le due nazioni.
Nel frattempo, Rollins insiste sul fatto che questo approccio risponde a un mandato popolare. “Il popolo ha scelto un disruptor a novembre, qualcuno che ha promesso la fine dello status quo”, ha affermato. E, secondo le sue parole, mantenere quella promessa significa proteggere ciò che si produce all’interno dei confini degli Stati Uniti.
La decisione, se confermata, potrebbe avere ripercussioni anche sul mercato europeo, dove si sta assistendo a un dibattito simile in merito alla tutela delle produzioni locali contro le importazioni a basso costo. L’Italia, in particolare, difende da anni le sue eccellenze agroalimentari attraverso normative sempre più stringenti sull’origine dei prodotti.
In un mondo sempre più segnato da tensioni commerciali e protezionismi crescenti, la mossa degli Stati Uniti potrebbe rappresentare un precedente importante. Come ha recentemente affermato il presidente di Coldiretti, “difendere l’agricoltura nazionale significa difendere l’identità e la sicurezza alimentare di un Paese”.