Grande Guerra: Fratelli d’Italia chiede al Governo degna celebrazione del centenario

“4 novembre 1918. Ore 12. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avean disceso con orgogliosa sicurezza. La guerra contro l’Austria Ungheria è vinta”

Tutti noi siamo cresciuti con queste parole – estratte dal Bollettino della Vittoria -. Le abbiamo lette nelle migliaia di targhe presenti negli uffici pubblici e nelle scuole più antiche. Tutti abbiamo letto di eroi come Nazario Sauro, Cesare Battisti, Francesco Baracca, Enrico Toti. Di D’Annunzio che diviene poeta guerriero. Così come dei futuristi. Artisti in pace. Artisti in guerra.

Ma oltre ai nomi noti la Grande Guerra è stata la guerra della gente comune. Dei ragazzi del ’99. Delle trincee dove ragazzi a stento riuscivano a capirsi tale era la differenza di dialetto e cultura. La guerra dei massacri ma anche e soprattutto il momento in cui dal sangue degli eroi, dei martiri, della gente comune nacque l’Italia. Libera. Forte. Sovrana. A cent’anni di distanza poco si è fatto per ricordare l’avvenimento. Come se fosse qualcosa da dimenticare. E invece è necessario ricordare, omaggiare, saper cogliere l’insegnamento che ci è stato dato.

Fratelli d’Italia ha presentato una mozione in tal senso – in calce a questo articolo -.

La discussione sulla mozione, presentata con passione e chiarezza dal deputato FDI Paolo Trancassini, ha visto interventi di vari relatori – di particolare valore quello del deputato Domenico Furgiuele della Lega Nord sull’importanza dei combattenti venuti dalla Calabria – che si sono alternati nel raccontare quanto l’Italia sia debitrice nei confronti di chi ha rischiato la vita per lei.

Dopo il puntuale intervento dell’on Federico Mollicone – che ha giustamente esaltato il ruolo delle nostre forze armate durante il conflitto e nell’impegno odierno soprattutto in risposta al, pessimo, intervento del relatore del PD – è intervenuto l’on. Luca De Carlo di cui riportiamo il video dell’intervento e il discorso integrale. Non pensiamo ci sia bisogno di aggiungere altro.

“Calalzo di Cadore, il mio paese, era l’ultima fermata del treno prima del fronte. Un paese che per tutto il perdurare della guerra diventò una città. Un ospedale, le salmerie, i magazzini, la prima casa del soldato fondata al fronte da Padre Minozzi di Amatrice, ……e i treni , tanti….

Da quei treni scendevano ragazzini impauriti poco più che maggiorenni, volontari che cantavano le canzoni patriottiche, veterani tornati da una licenza silenziosi perché consapevoli di tornare all’inferno.Le nostre donne fino a pochi anni fa raccontavano di quanto fosse doloroso guardare le facce di chi scendeva, scambiare magari una parola o un incoraggiamento e poi rivederli.

Dopo. Dopo il fronte, il gelo, le trincee. Immaginarli in quel sacco nero che ne conteneva i poveri resti senza vita pensando che erano comunque stati più fortunati di altri i cui corpi non sarebbero più stati trovati impedendo così alla famiglia e al paese di piangere una tomba piena. Ma quello che raccontavano era anche che i ragazzi provenienti dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Sardegna spesso arrivavano e chiedevano dove si trovassero. Non ne avevano idea!

E allora qualcuno pensava che Vienna fosse dietro ai monti. Proprio là dietro. O altri esempi d’ignoranza geografica tali che, se non si fosse stati al fronte, tutti ne avrebbero riso. Solo che poi qualcuno raccontava dei propri paesini davanti al mare. E nessuno dei cadorini sapeva riconoscerne i nomi e nemmeno dove più o meno fossero. Scesi dal treno venivano avviati a combattere. Insieme a loro la nostra gente.

A pochi chilometri c’è il Monte Piana, il Paterno, il Passo Monte Croce Comèlico. il Col di Lana. Ancora oggi un enorme cratere racconta che in 8.000 ci lasciarono la vita durante la Prima Guerra mondiale. Col di sangue.E su tutte le cime ci sono le croci. Quelle della nostra gente, quelle degli altri italiani venuti dalle città sul mare. Croci che quand’erano vive non parlavano la stessa lingua, la stessa storia ma che oggi sono così vicine che sembrano la stessa. Sono la stessa.

Perché croce fatta con il legno di una storia non muta col passare del tempo e di radici che non importa quanto siano profonde o dove cerchino nutrimento. Perché trovano sempre la stessa acqua. Quella portata da chi non smette di ricordare e di rispettare la loro storia. La nostra storia. E oggi siamo qui. A cent’anni dalla loro vittoria che è stata – ed è! – la nostra.Quella che ha permesso a questa Nazione di essere unita.

600.000 morti militari. Caduti per Trento e Trieste. Per la sacrosanta libertà di sentirsi ed essere italiani in Italia.

Senza un potente straniero a dirci cosa dobbiamo fare, che lingua dobbiamo usare, senza nessuno che possa permettersi anche solo di pensare di voler comandare a casa nostra. Ma non solo militari.

Dopo caporetto la mia terra, così come il Friuli, fu occupata dagli austriaci. Noi lo ricordiamo come l’l’an de la fam” – l’anno della fame -. Mia bisnonna Adele con la faccia rugosa e le mani pieni di calli dopo una vita di lavoro, mi raccontava come suo padre lavorasse in quegli anni per una pagnotta di pane al giorno e quella pagnotta non la toccava nemmeno per sfamare i figli. Morì di fame. Un eroe anche lui.  Ci presero tutto, non soltanto il mio trisnonno. Ma non la dignità. Non la voglia di continuare a combattere.

Come nel 1848 quando durante il Risorgimento il Cadore fu tra i più duri avversari dell’impero austriaco. Sognavamo questa idea chiamata Italia e combattemmo per lei.

Che è che sfidi, divino giovine?

la pugna, il fato, l’irrompente impeto

dei mille contr’uno disfidi,

anima eroica, Pietro Calvi.

Guidati da Pier Fortunato Calvi mostrammo all’Italia – quella che sarebbe dovuta nascere, quella che avremmo fatto nascere – che Dall’Alpi a Sicilia non ci saremmo arresi. In guerra come in pace. Il 1848 è ricordato come l’anno della primavera dei popoli. E di primavera è il profumo della libertà. Non l’abbiamo dimenticato. è più forte del puzzo del compromesso e dell’ingiustizia. Anche di quella che si respira oggi che siamo nel 2018.

Perché essere patrioti, così come noi siamo patrioti, vuol dire accorrere ovunque sia necessario per la nostra gente. Ricordandone i sacrifici e lavorando per impedirne di nuovi. Nella memoria come nell’azione. Primi mesi del 1916. Gli austriaci dominano il passo e ci colpiscono a morte. I passi dolomitici sono fondamentali. Non possiamo lasciarli a loro. Però d’inverno tutto è immobile là dove meno venti è considerato quasi un piacevole tepore. C’è neve, neve ovunque e un gelo così assoluto da ghiacciare sangue, membra, idee. Coraggio.

Ma non si può essere italiani in una terra dominata dal nemico. Italo Lunelli era un irredentista trentino. Non può lasciare Trento agli Austriaci. Giovanni Sala era un cadorino. Figlio della primavera dei popoli. Trovano una strada impraticabile tra le cime. Impraticabile per tutti. Non per noi italiani. Osano l’inosabile. Ottengono l’insperabile.

Arrivano da dove nessuno sarebbe potuto arrivare e conquistano il passo della Sentinella. Sono i Mascabroni. Quello che non poteva essere é. Come si fa a dimenticare? Invece di una celebrazione costante dei nostri eroi abbiamo avuto disinteresse, disattenzione, rimozione. Abbiamo permesso che i nostri figli dimenticassero la loro storia. E forse ce ne siamo dimenticati anche noi perché altrimenti questi 4 anni sarebbero stati 4 anni di celebrazioni di popolo. Come non è stato. Così come invece hanno fatto in Francia, Inghilterra e anche nelle pur sconfitte Germania e Austria. Manca solo un mese al 4 novembre. Le mancanze del passato non possono giustificare mancanze e disattenzioni.

Finalmente è stato insediato il cda della Rai. Ci aspettiamo fiduciosi che sulle reti principali ci sia un’attenzione particolare. E che il Governo ovunque sia possibile organizzi celebrazioni di piazza con le scuole e supporti le attività realizzate dai comuni e da tutte quelle realtà associative, istituzionali, d’arma che stanno organizzando cerimonie. Perché la nostra storia non è fatta di cesure o momenti singoli. Ma è una storia millenaria in cui ogni gesto di coraggio ispira quello seguente.

Durante la primavera dei popoli un giovane ragazzo, poeta, con il viso serio come quello di chi si fosse fatto carico di un impegno più grande di lui combatté ovunque fosse possibile per fare l’Italia. E da poeta, scrittore, ispiratore, divenne eroe morendo qui a Roma a nemmeno 22 anni – come tanti poi nelle trincee che partirono conoscendo la sua storia -.

E oggi di Goffredo Mameli ricordiamo l’inno che è il nostro. Ma oggi è il momento di riscoprire altri suoi versi che come tutta la poesia immortale sembrano scritti per l’oggi:

All’incirca son cent’anni

Che scendevano su Genova,

L’armi in spalla, gli Alemanni ;

Quei che contano gli eserciti

Disser : l’Austria è troppo forte;

E gli aprirono le porte.

Quei che contano gli eserciti

Vi son oggi come allora :

Se crediamo alle lor ciance

Aprirem le porte ancora.

Ma questa vil genia

non sa

che se il popolo si desta

Dio combatte alla sua testa

e la sua folgore, la sua folgore gli dà.

E allora ricordiamo e destiamo.

Ma soprattutto: destiamoci”


La mozione andrà in votazione mercoledì.

Mozione 1-00033 presentato da LOLLOBRIGIDA Francesco
testo di Giovedì 13 settembre 2018, seduta n. 44

La Camera, premesso che: il 4 novembre 1918 l’Italia vinceva la prima guerra mondiale, dopo 42 mesi di combattimenti che portarono a oltre seicentomila morti soltanto tra i soldati, senza contare i civili, il cui numero di vittime fu di poco inferiore; si tratta di un’immane tragedia, come tutte le guerre, ma anche di una grande vittoria, frutto dell’eroismo dei nostri soldati che, accorsi da tutta Italia, dalle terre irredente e perfino da oltre mare, fecero sì che uno Stato appena formato diventasse davvero nazione; il passato è parte integrante dell’identità di un popolo e, in questo spirito e per tenere viva la memoria collettiva, nel giugno 2013 è stato istituito il Comitato interministeriale per il centenario della prima guerra mondiale e la legge di stabilità per il 2014, legge 27 dicembre 2013, n. 147, ai commi 308 e 309 dell’articolo 1, ha stanziato fondi per la messa in sicurezza, il restauro dei «luoghi della memoria» e per promuovere la conoscenza degli eventi dalla prima guerra mondiale, preservarne la memoria in favore delle future generazioni, attraverso la realizzazione di manifestazioni, convegni, mostre, itinerari, anche con il coinvolgimento attivo delle scuole; nonostante le intenzioni lodevoli, gli interventi previsti non sembrano aver raggiunto il loro scopo; proprio i lavori di ristrutturazione dei monumenti, certamente necessari, paradossalmente rendono difficoltosa e talvolta impossibile la fruizione dei sacrari, proprio nell’anno della celebrazione del centenario della vittoria; tutta l’attività celebrativa è praticamente concentrata nel restauro, mentre risulta assolutamente trascurato l’aspetto culturale e informativo, cosicché questo anniversario, fondamentale per la nostra storia, sta, di fatto, passando in sordina; sul sito ufficiale del centenario le attività del Governo sono ferme agli anni scorsi e le attività patrocinate, gratuitamente, sono pochissime spesso e frutto dell’impegno di meritorie ma piccole associazioni, generalmente dedicate agli specialisti, mentre manca completamente la diffusione verso il grande pubblico; il calendario delle attività di ottobre e novembre 2018 presenta solo 7 eventi, mentre le attività più importanti, quelle cioè per le scuole, sono ferme al 2015; fondamentale, per la formazione dei giovani, è comprendere il significato di quella vittoria, non sotto il profilo militare, ma soprattutto sotto quello culturale, perché essa rappresentò il compimento del processo risorgimentale, facendo sentire per la prima volta gli italiani come un vero popolo sotto la stessa bandiera; Pagina 4 di 4 a parere dei firmatari del presente atto vi è stata una sorta di rimozione dell’evento della vittoria, frutto di un clima culturale che, purtroppo, deprezza valori fondamentali, come l’orgoglio e l’amore patrio, condannando apoditticamente i valori militari in nome di una malintesa ideologia «pacifista», in ragione della quale ci si dovrebbe quasi vergognare di aver combattuto e persino vinto una guerra, tanto è che, in Italia, il 4 novembre (giorno in cui fu firmato l’armistizio siglato con l’impero austro-ungarico) non è più un giorno festivo, e tantomeno una festa della vittoria, quanto la giornata dedicata alle forze armate; i soldati sul Carso e sul Piave, i marinai nell’Adriatico e nei sommergibili, gli avventurosi pionieri dell’aviazione meritano l’attenzione, il riconoscimento e la celebrazione di tutti gli italiani, impegna il Governo 1) ad assumere tutte le iniziative necessarie per celebrare degnamente il centenario della vittoria, anche con il coinvolgimento delle istituzioni culturali del Paese, delle regioni e dei comuni; 2) a promuovere e a sostenere iniziative, anche presso le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, volte a favorire lo studio e la conoscenza di quel che significò per gli italiani combattere la grande guerra, al fine di recuperare la memoria storica della nazione. (1-00033) «Lollobrigida, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Crosetto, Deidda, Luca De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Maschio, Meloni, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

 

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