Come avviene praticamente sempre in caso di disgrazia nazionale, ecco nascere una sorta di giallo riguardo al crollo del viadotto Morandi di Genova.
Chi sia stato a far venire giù materialmente il ponte Morandi, gli investigatori credono di averlo individuato. Si tratterebbe del Fiat Stalis della Mcm autotrasporti di Novi Ligure condotto da Giancarlo Lorenzetto, 55 anni, che per sua fortuna è riuscito a salvarsi quando è avvenuto il crollo e l’autoarticolato è precipitato nel barato. Il giorno del disastro, il Fiat Stalis trasportava un rotolo d’acciaio di 440 quintali, quasi ai limiti della legge che prevede un carico massimo di 462 quintali.
Quindi, sia chiaro, probabilmente il pesante trasporto è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma non è certo la sua la responsabilità che ha condotto al disastro. Dice Lorenzetto, il guidatore, in un’intervista: “…davanti a me si è aperta la strada e mi sono sentito risucchiare all’indietro. Ho chiuso gli occhi pensando che fosse finita. Mi sono ritrovato giù, appeso alla cintura di sicurezza e per fortuna che l’avevo allacciata”, e vengono i brividi a immaginare cosa si può provare se mentre guidi tranquillo il terreno ti viene letteralmente a mancare sotto le ruote.
Ma come si è arrivati al crollo di una struttura così vitale per la viabilità non solo di Genova, ma addirittura nazionale, e le cui criticità erano già note? A chi la vera responsabilità della tragedia? Qui la situazione si complica, e ancora non ci sono certezze. Quello che si sa è che il 16 scorso i finanzieri del Primo gruppo, coordinati dai colonnelli Bixio e Lo Turco, hanno provveduto a una approfondita perquisizione presso le sedi di Ismes/Cesi e del Politecnico di Milano. Scopo degli accertamenti è indagare su presunte segnalazioni che i tecnici dei due istituti inviarono alla società Autostrade invitandola ad adottare monitoraggi più frequenti e attenti, nonché l’istallazione di sensori che non avvenne mai. I militari hanno anche provveduto a sequestrare computer e a clonare telefoni cellulare per cercare tracce di eventuali comunicazioni più o meno informali tra i vari consulenti e il concessionario del viadotto.
In particolare, la Guardia di Finanza dovrebbe accertare l’eventualità di un possibile depistaggio, magari solo tentato. Ne parla Il Secolo XIX in un interessante articolo che riferisce uno strano episodio accaduto la notte del 14 agosto scorso, a poche ore dal crollo del ponte. Scrive Il Secolo XIX: “Un’addetta commerciale di Ismes/Cesi, su richiesta di Autostrade, inviò nuovamente la relazione, datata 2016, accompagnandola con una strana mail che sembrava imputare il crollo a problemi strutturali dell’opera, uno strano alibi per la società concessionaria.” In proposito, sono stati ascoltati praticamente tutti i tecnici che nel corso degli anni hanno collaborato a redigere i vari dossier commissionati dalla soc. Autostrade sullo stato del viadotto. Scrive ancora il Secolo XIX: “L’inchiesta, coordinata dai pm Paolo D’Ovidio, Massimo Terrile e Walter Cotugno, riparte da questo interrogativo: perché, nel giorno stesso del crollo, Autostrade sentì il bisogno di contattare i consulenti e di farsi rimandare una relazione di due anni prima?… Soprattutto: perché i medesimi consulenti hanno compiuto una retromarcia del genere? Gli investigatori hanno già ascoltato nelle scorse settimane i protagonisti di quella corrispondenza: Enrico Valeri, direttore generale informazioni di Autostrade, e Chiara Murano, funzionaria Ismes/Cesi. Quest’ultima non si limitò a rimandare ad Aspi la vecchia relazione, ma la accompagnò con un testo che sembrava quasi scaricare le responsabilità sui difetti di progettazione e realizzazione del viadotto. Già interrogata, ha palesato alcune contraddizioni e i pubblici ministeri valutano l’addebito di false dichiarazioni all’autorità giudiziaria.”
Domande e sospetti che lasciano davvero l’amaro in bocca soprattutto se si considera che nella disgrazia sono morte 43 persone, e che c’è il rischio che se le cose andranno come spesso vanno in Italia, nessuno alla fine pagherà.