Il blocco navale si può fare: è l’Europa che ce lo chiede

In questa caldissima campagna elettorale, che vede quotidianamente consolidarsi il consenso di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia, stiamo assistendo ad una delle più grandi campagne di delegittimazione da parte del mainstream mai viste. Ogni tema è motivo di attacco, si badi di attacco e non di critica ed uno dei temi più caldi è quello del Blocco Navale.
Giornali, commentatori, analisti e politologi in coro ripetono il mantra della sinistra “Il blocco navale non si può fare perché è un atto di guerra”.
Questo assunto, destituito di ogni fondamento, va smontato non solo ribadendo la costante posizione di Fratelli d’Italia, ma anche facendo riferimento allo stesso posizionamento delle istituzioni europee in merito.
Sin da quando è stata elaborata la teoria del cosiddetto “blocco navale”, Giorgia Meloni ha sempre chiarito che con questa misura avrebbe voluto realizzare una missione europea, in accordo con gli stati di provenienza, volta al controllo delle frontiere marittime ed all’individuazione dei barconi prima della partenza. La missione sarebbe stata poi completata dalla creazione di hot spot sui territori di provenienza, per l’identificazione dei migranti e la valutazione della sussistenza dei requisiti per ottenere protezione.
Resta dunque di difficile comprensione la lettura della sinistra, peraltro amplificata dai megafoni dei media, che insiste nel definire il bocco navale una misura irrealizzabile e con intenti belligeranti. Nella narrazione che vuole creare il “mostro”, una posizione così chiara deve essere intorbidita in modo da renderla spuria, che si creda buona solo per vellicare istinti xenofobi e distanti dai genuini intenti umanitari, che invece puntano all’accoglienza ad ogni costo.
Ci dispiace dover per l’ennesima volta smontare questo castello di carte, dando preciso conto della postura assunta negli ultimi anni dall’Europa sulla questione immigrazione che, checché ne dica la sinistra, ha assunto proporzioni preoccupanti e ai limiti della catastrofe.
Sono anni che l’Unione Europea chiede un deciso controllo delle frontiere esterne e a questa richiesta ha aggiunto atti formali e l’istituzione di più di una missione orientata in tal senso.
Nel 2015, dopo i disastrosi naufragi del 2014 che avevano falciato centinaia di vite, l’Europa istituisce la EUNAVFOR Med, anche detta Missione “Sophia”, che soppianta la precedente Triton, istituita da Frontex, insufficiente ed inadeguata per mandato.
“Sophia” è la prima vera missione militare Europea per il contrasto alla tratta degli uomini, mediante il controllo delle rotte del mediterraneo centrale e il suo mandato, su carta, era diviso in tre fasi: la prima fase di individuazione e monitoraggio delle reti di migrazione; la seconda immaginata per effettuare fermi, sequestri e dirottamenti di navi sospettate di essere utilizzate per la tratta dei migranti; la terza che prevedeva l’adozione di tutte le misure necessarie, anche lo smantellamento delle navi, per interrompere il traffico di uomini.
Nel 2017 il Consiglio europeo aggiunge al mandato altre funzioni, quali: istituire un meccanismo di controllo del personale in formazione per assicurare l’efficienza a lungo termine della formazione della Guardia Costiera e della Marina libica; svolgere nuove attività di sorveglianza e raccogliere informazioni sul traffico illecito delle esportazioni di petrolio dalla Libia; migliorare le possibilità per lo scambio di informazioni sulla tratta di esseri umani con le agenzie di polizia degli Stati membri, Frontex ed Europol.

Questa missione è stata prorogata sino al 2020, successivamente sostituita da IRINI, per il controllo del traffico delle armi verso la Libia.
Come appare evidente la missione Sophia null’altro era che l’attuazione sostanziale del blocco navale chiesto da Fratelli d’Italia: pattugliamento, individuazione, fermo e smantellamento dei natanti, assicurando alla giustizia i trafficanti di uomini, con una forte collaborazione con gli stati di provenienza. Ed ecco che, di fronte agli atti del Consiglio europeo, la fola del “non si può fare” evapora come neve al sole.
Tuttavia, negli anni, la missione, sotto il comando italiano, non solo non ha mai attivato la fase tre (smantellamento dei natanti) pur essendo espressamente prevista dal mandato, ma ha provveduto a sbarcare nei porti italiani tutti i migranti salvati nelle operazioni di SAR. Negli anni di attività della missione, per il tramite di Sophia sono arrivati nei porti italiani oltre 49.000 migranti, che corrispondono al 10% circa degli arrivi totali di quel periodo. Si deve ricordare che la stessa Emma Bonino, in molteplici dichiarazioni rilasciate, rappresentò il fatto che l’Italia si fosse espressamente accordata con l’UE per far sbarcare tutti i migranti salvati nei nostri porti. Appare di rara evidenza che un accordo in tal senso, considerata la pressione migratoria cui l’Italia è da sempre sottoposta, era suicida, ma andiamo oltre. Occorre sottolineare che il salvataggio dei naufraghi è un preciso dovere delle imbarcazioni stabilito dal diritto internazionale, a cui le navi militari certamente non si sottraggono né si potrebbero sottrarre, ma non sussiste alcun obbligo di far sbarcare i naufraghi nei porti italiani, ciò che è imposto dalle norme di diritto internazionale è che questi sbarchino in porti sicuri ed oltre all’Italia, di porti sicuri nel Mediterraneo ce ne sono molti altri, che tuttavia, per oscure ragioni, non sono tenuti in considerazione né dalle missioni, né tantomeno, dalle decine di ONG che ritengono di dover necessariamente fare rotta verso l’Italia, facendosi largo anche speronando la nostra Guardia Costiera.
Ebbene, date tutte queste premesse, ciò che emerge evidente è che l’Italia in questi anni, ha posto in essere delle politiche migratorie totalmente irragionevoli, ispirate da un ideologico immigrazionismo che non solo ha danneggiato gli interessi italiani, ma gli stessi interessi dell’UE, che da sempre chiede maggior rigore. Ma ciò che più preoccupa e atterrisce è che l’unico vero modo per arginare la terribile emergenza umanitaria che deriva da questo traffico ripugnante è proprio quello di bloccare le partenze, evitare che uomini, donne e bambini possano essere stipati su bagnarole inadeguate in balia dei marosi, in attesa della ONG di turno che sa dove e quando recuperare quello che per i trafficanti è il proprio bottino e che per noi, invece, sono vite da salvare. Il blocco navale non solo si può fare, ma è un dovere immaginare al più presto come farlo.

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