Il caso Cucchi: storiaccia all’italiana

Ci sono storie che sono proprio storiacce. Nascono male, continuano peggio, finiscono – forse – nello schifo totale. Sono quelle storie dove dall’inizio niente va per il verso giusto. Nessuno degli “attori” che le animano fa la cosa che dovrebbe, corretta, pulita. E così, nel tempo, quello che già era complesso da comprendere, diventa una matassa in districabile di chiacchiere, misteri, sospetti, bugie grandi e piccole, mezze verità, depistaggi e via discorrendo.

Di queste storiacce, l’Italia ne può raccontare fin  troppe. Dalla morte del bandito Giuliano e di Carmine Pisciotta via via fino al Ponte dei Frati Neri sotto al quale un anziano banchiere decise di impiccarsi, mentre un altro veniva “suicidato” in carcere con il solito caffè corretto. E poi aerei caduti mentre guarda un po’ tutti i radar della nazione erano spenti o rotti, Mig piombati sulla Sila il giorno prima col cadavere del pilota già in stato di decomposizione, tecnici d’arma avanzata spariti nel nulla, stazioni fatte esplodere in un bel giorno d’agosto e processi pilotati verso colpevoli buoni per tutte le stagioni, anche se lo sanno pure i sassi che non sono stati loro.

Così, storiaccia dopo storiaccia ecco che ce n’è anche una diciamo minore perché non coinvolge un personaggio importante, né noto, né segreti di Stato, ma un disperato forse piccolo spacciatore, un poveraccio perduto del suo modesto inferno personale che un bel giorno ha avuto la ventura di finire tra le mani della giustizia italiana e che dall’abbraccio non ne è uscito vivo.

Quanti così prima e dopo di lui? Tanti. Quanti su cui si è indagato, interrogato, cercata la verità? Quasi nessuno. Ma con Stefano Cucchi le cose sono andate diversamente, vuoi perché era un momento politico particolare, e faceva tutto sommato comodo tirare fuori una storia che andasse a colpire le Forze dell’ordine. E poi una sorella, che non sappiamo dire quanto sia stata mossa da amore nei confronti del fratello disgraziato a cui non faceva vedere i nipoti da due anni, piuttosto che da una certa smania di apparire che l’ha rapidamente portata dall’anonimato ad essere un personaggio, perfino candidata tra le fila di partiti di sinistra , con Ingroia in parlamento e poi pronta a sfidare la Raggi come sindaco di Roma. Nel primo caso, non venne premiata dall’elettorato. Nel secondo ha fatto alzare  un polverone da chi la vede come una furba che con la morte del fratello ci sta facendo carriera.

Sia come sia, bisogna dare a Ilaria Cucchi il merito di non aver permesso che sulla misteriosa morte di suo fratello cadesse l’oblio: perché lo abbia fatto, poi, sono problemi che vedrà lei stessa con la propria coscienza. Restano i fatti che hanno coinvolto questo ragazzo di 31 anni, fermato una sera del 2009 probabilmente mentre sta cedendo una dose di droga. Gliene trovano un po’ addosso, hashish e coca che gli valgono una custodia cautelare. Lui entra in galera che pesa 43 chilogrammi per 1.62 d’altezza. Uno scricciolo, uno scheletrino, lui sì. Va all’udienza di conferma del fermo che fatica a camminare, e ha brutti segni scuri sotto agli occhi, però quando parla con suo padre per pochi momenti non dice di essere stato picchiato, non chiede aiuto per eventuali violenze che sta subendo.  Torna dentro, e le sue condizioni di salute peggiorano. Lo fanno visitare al Fatebenefratelli, dove si chiede un ricovero immediato che Cucchi rifiuta. Però in prigione le sue condizioni peggiorano e viene ricoverato al Pertini dove muore 7 giorni dopo il suo fermo.

A quel punto partono  le indagini a macchia d’olio, che travolgono un po’ tutto e tutti. Intanto, si formano due partiti, quelli che vogliono Stefano morto perché di suo già in gravi condizioni di salute al momento del fermo, debilitato da una vita raminga, vuoi quelli che si rendono conto che qualcosa nell’arresto di Stefano Cucchi e nella sua morte con quelle ecchimosi, quei segni evidenti e durissimi di percosse, non possano essere ignorati. Intanto, le indagini preliminari sostengono che a causare la morte di Stefano sarebbero stati la mancata assistenza medica su una marcata ipoglicemia,  in presenza di traumi diffusi pur non lesivi da averne causato il decesso. In realtà, sembra che tutti brancolino nel buio, che tutti cerchino di scaricare ad altri le responsabilità, che tutti vorrebbero mettere una pietra sopra su questa storiaccia, come se nulla fosse accaduto. E ci riuscirebbero pure se non fosse per i media, che si buttano sulla storiaccia più per amore di vendite che di giustizia.

Nel 2012, il processo di primo grado stabilisce che la responsabilità della morte di Stefano vada attribuita all’ospedale Pertini per abbandono terapeutico. Ce n’è anche per gli agenti della polizia penitenziaria a cui sono contestate lesioni e abuso di autorità. Così vengono condannati quattro medici del Pertini per omicidio colposo (pena sospesa), un medico a 8 mesi per falso ideologico, mentre vengono assolti sei tra infermieri e guardie penitenziarie, i quali, secondo i giudici, non avrebbero in alcun modo contribuito alla morte di Cucchi. Il processo di appello, del 31 ottobre 2014, ribalta la sentenza di primo grado e assolve tutti, medici e altri. L’avvocato dei Cucchi e la sorella di Stefano annunciano subito il ricorso.  E la Cassazione, in effetti,dispone il parziale annullamento della sentenza di appello.

Ma la famiglia di Stefano non si ferma. Chiedono e ottengono la riapertura dell’inchiesta, e si arriva così ad oggi. Un carabiniere, Francesco Tedesco, già finito tra le maglie dell’inchiesta, ammette il pestaggio di Cucchi, accollandolo a due sue colleghi, e sostenendo di aver assistito al fattaccio senza però parteciparvi ma anzi richiamando gli autori delle violenze e cercando di fermarli. Secondo Tedesco e la ricostruzione del PM Musarò, il carabiniere in proposito avrebbe presentato una nota di servizio, che però è poi sparita nel nulla. Per questo sempre Tedesco il 20 giugno 2018, nove anni dopo i fatti, ha presentato una denuncia in cui riferiva quanto accaduto secondo lui, e con ciò causando l’iscrizione di un procedimento contro ignoti nell’ambito del quale ha reso le dichiarazioni contro i suoi colleghi, raccontando di nuovo cosa è accaduto realmente.

Dunque, tutto da rifare. Cucchi non è morto perché già malato, non è morto perché mal curato, non è morto perché picchiato da agenti di custodia ma perché massacrato da due carabinieri, con altri carabinieri che si sono attivati per insabbiare tutto?  Sarà questa la verità? Che certezze ci sono oltre alle parole di Tedesco? Non lo sappiamo, ma sappiamo che quando le indagini non vengono fatte bene dall’inizio, quando i depistaggi si susseguono e una storia si trasforma in storiaccia, venirne a capo è quasi impossibile.

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RK Montanari
RK Montanarihttps://www.lavocedelpatriota.it
Viaggiatrice instancabile, appassionata di fantasy, innamorata della sua Italia.

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