CETA sì o CETA no, è la domanda di attualità. Il CETA (in inglese Comprehensive Economic and Trade Agreement, letteralmente “Accordo economico e commerciale globale”) è un trattato di libero scambio tra Canada e Unione europea entrato in vigore, seppur in forma provvisoria, il 21 settembre 2017, e attualmente in fase di ratifica da parte degli stati UE. (Wikipedia)
Per partorire questo trattato, una apposita Commissione – nella quale per altro l’Italia era sicuramente sotto rappresentata – si è riunita per circa 5 anni, dal 2009 al 2014. Dopo essere stato firmato dalla Commissione europea e dal governo canadese, il Parlamento europeo ha approvato il documento finale nel febbraio del 2017, permettendo al CETA di entrare in vigore nel settembre dello stesso anno. In via provvisoria, però, perché il CETA è un cosiddetto mixed agreement, e deve essere ratificato dai parlamenti nazionali di tutti i 28 Stati membri, e da alcuni parlamenti regionali, per un totale di 38 assemblee. Solo così il trattato potrebbe avere piena attuazione anche se recentemente, Moscovici, il commissario europeo, in audizione alla Commissione per gli affari esteri dell’Assemblea Nazionale Francese, ha dichiarato che anche se un parlamento nazionale o regionale dell’UE dovesse votare contro la ratifica del trattato, il CETA resterebbe comunque in vigore nella sua forma attuale e provvisoria, come già accade dal 21 settembre 2017.
E fino a qui tutto potrebbe sembrare abbastanza chiaro, mentre è invece molto più complicato comprendere se all’Italia convenga o no ratificare il CETA. Per esempio, Confindustria si è detta favorevole al trattato, mentre con la mobilitazione della Coldiretti hanno già espresso contrarietà 14 regioni, 18 province, 2400 comuni e 90 Consorzi di tutela delle produzioni a denominazioni di origine. Spiega Massimiliano Pederzoli, presidente della Coldiretti: “Il Ceta azzera strutturalmente i dazi per l’importazione in una situazione in cui un pacco di pasta su sette prodotto in Italia è fatto con circa 720 milioni di chili di grano canadese trattato con glifosato – continua Pederzoli – E pesa anche l’impatto di circa 50.000 tonnellate di carne di manzo e 75.000 tonnellate di carni suine a dazio zero da un Paese dove si utilizzano ormoni della crescita vietati in Italia. Per la prima volta nella storia l’Unione Europea si legittima, peraltro in un trattato internazionale, la pirateria alimentare a danno dei prodotti made in Italy più prestigiosi, dal Parmigiano Reggiano all’olio extravergine di Brisighella. La svendita dei marchi storici del made in Italy agroalimentare non è solo un danno sul mercato canadese, ma si è dimostrata essere soprattutto un pericoloso precedente nei negoziati con altri Paesi “. Aggiunge poi il Presidente Coldiretti: “Inoltre, non è accettabile che alle importazioni sia consentito di aggirare le norme previste in Italia sulla sicurezza , mentre è invece necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a tutela della salute, garantendo che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali nazionali ci sia un percorso di qualità.“
Più in particolare, a schierarsi contro il CETA sono anche Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch, insieme nel denunciare come l’accordo “metterà in serio pericolo il nostro made in Italy perché dà il via libera alle imitazioni dei prodotti italiani più tipici”. Da noi un determinante no al CETA l’ha detto in questi giorni Luigi DiMaio, affermando che l’Italia non ratificherà il trattato. Gli ha fatto subito eco il ministro dell’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, affermando che verranno rimossi immediatamente tutti quei funzionari che dovessero dimostrarsi in disaccordo con le decisioni del governo e che dovessero difendere la partnership. Bisogna anche dire che i detrattori del CETA non criticano il trattato nella sua interezza, ma per esempio ne contestano il metodo di contrattazione con i negoziati che si sono svolti a porte chiuse, e l’effettivo grado di tutela dell’accordo, ritenuto insufficiente. Inoltre, quello che sembra spaventare di più chi osteggia il trattato, è che all’Italia siano riconosciute solo 41 indicazioni a fronte di 288 DOP e IGP registrate. con una sostanziale rinuncia alla tutela delle altre 247. Per fare alcuni esempi rispetto alla tutela delle denominazioni ed indicazioni protette dove l’accordo prevede eccezioni, Coldiretti fa notare che il termine parmesan rimane utilizzabile in Canada per indicare volgarmente un formaggio grattugiato. Per alcuni prodotti (asiago, fontina e gorgonzola) e’ consentito in Canada l’uso degli stessi termini accompagnato con “genere”, “tipo”, “stile”, insieme all’indicazione dell’origine del prodotto, vincolo che però viene meno se i formaggi in oggetto siano stati immessi sul mercato prima dell’ottobre 2013. E si va avanti così, tra valanghe di eccezioni che rendono davvero difficile ogni tutela, che per altro è ben specificato che sarebbe solo amministrativa a non anche penale.
Per finire, ma è stato comunque impossibile per ragioni di spazio dire tutto, il CETA così come è stato concepito, diventa una sorta di cavallo di Troia, permettendo a una qualsiasi multinazionale di aprire una sede in Canada e avvalersi di essa per entrare a pieno titolo nel mercato europeo. Pensate che “ghiottoneria” per certi Paesi che in tema di commercio tendono a giocare sporco…