Rileggere le grandi opere del passato per diletto e per amore del vero, stimoli umani mai sopiti nel cuore e nella carne degli uomini. Il De Monarchia, trattato politico in latino, databile verosimilmente tra il 1313 e il 1318, si presenta, ancora oggi, testo attualissimo e fecondo, in grado di sollevare quesiti, offrire spunti e provocare le coscienze. Nei tre libri che lo compongono, il Sommo Poeta discetta di tematiche spinose e insidiose per ogni epoca storica, quali il rapporto tra autorità e pace, tra provvidenza e storia, tra sfera temporale e spirituale.
Dante scrive la sua opera politica più famosa in un momento storico controverso, segnato da gravi incertezze politiche e sociali. Dante, inoltre, vive da protagonista indiscusso un’epoca di passaggio, da uomo del medioevo s’incammina verso l’età moderna.
La corruzione dei costumi, le precarietà diffuse, lo scandalo offerto dalle autorità corrotte e incapaci, spingono il Nostro a formulazioni ardite e coraggiose. L’utopia dantesca, caratterizzata da una rinnovata alleanza tra Impero e Chiesa, da un dualismo dei fini e dei compiti, dalla distinzione tra una felicità terrena e una beatitudine eterna, appare come un sussulto di vitalità “conservatrice”, seppure del tutto irrealizzabile, destinata inevitabilmente alla sconfitta.
Il sogno politico dantesco, annichilito dalla realtà degli eventi, diviene, tuttavia, contro ogni speranza e previsione, seme propizio di rinascita: “La costruzione concettuale di Dante era grandiosa, ma anche superata dal corso effettuale della storia, che aveva sancito la crisi irreversibile dei due poteri universali; perciò era destinata a rimanere nei limiti di una magnanima quanto irrealizzabile utopia, un’utopia regressiva, tendente cioè a riportare indietro il corso degli eventi. È tuttavia proprio da questo sogno di un’impossibile restaurazione delle istituzioni e dei valori del passato, da questo rifiuto amaro e sdegnoso di un presente caotico, da quest’ansia visionaria e profetica di un’universale rigenerazione doveva scaturire la straordinaria costruzione poetica della Commedia” (AA.VV., Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Torino, Paravia, 1996, I, p. 284).
Nonostante l’irrealizzabilità dei progetti politici e sociali danteschi, il De Monarchia “rivela il profondo senso di giustizia e l’ansia di libertà che il poeta, esule, provava” (AA.VV., La Nuova Enciclopedia della Letteratura Garzanti, Garzanti, 1988, p. 260): una condizione di spaesamento e di sradicamento che avrebbe generato capolavori assoluti del patrimonio letterario mondiale.
La vicenda umana e artistica del Sommo Poeta si rivela prossima a quella di ogni viandante, di ogni persona delusa, scontenta, ferita negli affetti e privata delle libertà, in attesa di quell’ispirazione, di quell’incontro, di quella rinascita che non potrà tardare in eterno: usciremo presto a rimirare il cielo stellato.