Il delirio woke se la prende anche con i Lego

Non c’è niente da fare. Quando si vuole a tutti i costi interpretare qualunque elemento del quotidiano guardandolo con le lenti (deformate) dell’ideologia, non si può che finire scadendo nel ridicolo. L’ultimo esempio in ordine di tempo di tale sconfortante andazzo ce lo fornisce nientemeno che il Museo della Scienza di Londra, che se la prende addirittura con i celebri mattoncini Lego, che rafforzerebbero l’idea per cui l’eterosessualità “è la norma”. 

Cerchiamo, anche se il primo istinto è quello di mettersi a ridere, di seguire con apertura e disponibilità il ragionamento. Come riferisce il quotidiano Telegraph, nell’audio-guida su “storie di comunità, esperienze e identità queer”, predisposta per il tour della struttura organizzato dal Gender and Sexuality Network, i Lego potrebbero contribuire alla visione per cui “esistono solo due generi” e “tutto ciò che non rientra nel binarismo è insolito”. In altre parole, come si legge su Il Giornale in un articolo sull’insolita accusa, “ci sarebbe di mezzo l’eteronormatività, ossia la convinzione che l’eterosessualità sia l’unico orientamento sessuale e che le relazioni sessuali siano appropriate solo tra persone di sesso opposto”.

La ragione dell’insolita nota di biasimo rivolta ad uno dei giochi più amati dai bambini (e non solo) di tutto il mondo è questa: stando alle descrizioni che le persone fanno dei celebri mattoncini, è diffusa l’idea che “la parte superiore, con perni sporgenti, sia maschile e la parte inferiore, con fori per ricevere i perni, sia femminile”. A tutto questo si aggiunge il fatto che “il processo di assemblaggio dei due lati viene chiamato accoppiamento”.

Nel sottolineare l’assurdità di tali affermazioni, il Telegraph riporta le dichiarazioni della direttrice dell’associazione Sex Matters Fiona McAnena, secondo cui “le persone si aspettano di essere informate, istruite e ispirate quando visitano il Science Museum, non di vedersi imporre affermazioni dubbie radicate nell’ideologia di genere”. Vero. Come è vero anche il fatto, sottolineato in diversi siti internet che intendono smontare quella che definiscono la “bufala” dell’accusa di omofobia ai Lego, che la polemica nasce da un post, per giunta non recente, del citato Gender Sexuality Network, in cui si sottolinea che il descrivere i connettori come “maschio” e “femmina” e l’assemblaggio come “accoppiamento” è un “esempio di applicazione del linguaggio eteronormativo ad argomenti non correlati a genere, sesso e riproduzione”. Un esempio che dimostra la tendenza a considerare “l’eterosessualità e il binarismo di genere” come “la norma e tutto ciò che ne esce” come “insolito”, con conseguenze dirette sul “modo in cui parliamo di scienza, tecnologia e del mondo in generale”. Tutto chiaro. Oltretutto i Lego non possono essere considerati “omofobi”, anche perché, come qualcuno ha prontamente ricordato, l’azienda qualche hanno fa ha lanciato un set “arcobaleno” a sostegno della comunità LGBTQIA+. 

Il punto, però, è un altro. E lo abbiamo sottolineato all’inizio di questo articolo. Il punto è che l’affaire Lego è solo uno degli innumerevoli e sempre più frequenti tentativi di legare all’ideologia woke quanti più possibili componenti della vita di ogni giorno, meglio ancora (ed è questo l’aspetto forse peggiore della tendenza in questione) se riguardano il mondo dell’infanzia.

È ovvio, e lo affermiamo con decisione a scanso di equivoci, che ognuno è liberissimo di essere quello che vuole e di vivere la sua sessualità nel modo che preferisce. Quello che proprio non va è che venga limitata, con imposizioni come quelle che il “wokismo” sta tentando di mettere in atto, la libertà di tutti gli altri.

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Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi, due volte laureata presso l'università La Sapienza di Roma (in giurisprudenza e in scienze politiche), è giornalista pubblicista e scrittrice. Collabora con diverse testate e case editrici.

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