Il drammatico “ponte” di Ferragosto

Di solito, quando si parla del ponte di Ferragosto si intendono giorni di ferie incastrati insieme alle feste comandate per ottenere agevoli periodi lontani dal lavoro, arte su cui noi italiani ci siamo da sempre dimostrati versatili. Stavolta però, no. Il “ponte” del Ferragosto 2018, è quello sull’A10 che attraversa Genova, percorso da chiunque sia stato almeno una volta nel capoluogo ligure, magari anche solo di passaggio. Essenziale per la viabilità non solo della città ma di una zona molto ampia, ieri il viadotto o ponte Morandi (dall’architetto che l’ha costruito negli anni ’60 e che qualcuno sostiene che non abbia considerato tutte le variabili arrivando perciò a sbagliare i calcoli) è venuto già alle 11,37, trascinando con sé almeno trenta veicoli, tra auto e tir, compreso il carico di vite umane, gente che andava al lavoro, partiva  o tornava dalle vacanze, o era occupata per l’organizzazione del Ferragosto.

A ora il bilancio è drammatico: 37 morti, 5 ancora da identificare, 16 feriti tra cui alcuni gravissimi, oltre 15 dispersi di cui non si conosce il destino.  E complicatissime operazioni di soccorso dei 300 vigili e volontari impegnati  a scavare spesso a mani nude tra le macerie pericolanti, centinaia di tonnellate di cemento armato accartocciate su se stesse come fossero state di carta velina. Una tragedia imponderabile? Non scherziamo, sono decenni che ci sono dubbi sulla stabilità del viadotto Morandi, addirittura alcuni dello stesso progettista che probabilmente aveva capito di non aver portato a termine un lavoro perfetto. Eppure, come avviene per quasi tutto in Italia, finché la tragedia non si concretizza, si tira a campare, si fa finta di nulla, non si ascoltano le parole di chi dà l’allarme. Nel caso specifico, addirittura, ci fu una battaglia politica che oggi il Ministro grillino delle infrastrutture, l’ineffabile Toninelli, fa finta di non ricordare e quando glielo rammentano parla di sciacallaggio. E’ la solita tecnica dei 5 stelle. Qualche anno fa – era il 2012 – le polemiche sul viadotto Morandi infuriavano, e venne realizzato un progetto, la Gronda, una bretella che, tra l’altro, doveva trasferire buona parte del traffico oggi incanalato sul Morandi in un ‘altra direttrice. Il perché è ovvio: il ponte nacque come detto negli anni ’60, quando il traffico aveva una certa portata. Oggi, a distanza di quasi 50 anni, la mole di vetture e mezzi pesanti che passano sull’A10 si sarà come minimo decuplicata, e così l’usura, le vibrazioni e tutto ciò che ha portato al crollo, compresa la naturale consunzione del cemento armato, parecchio soggetto a degrado.  La Gronda, dicevamo, che come accade regolarmente in Italia, suscitò subito una marea di polemiche e la nascita di parecchi comitati che si opponevano al nuovo progetto. Il M5s, all’epoca, si schierò prontamente con i No-Gronda – un po’ come hanno fatto più recentemente con i no-Tav – tanto che il consigliere pentastellato Paolo Putti aveva addirittura parlato in consiglio comunale opponendosi allo “sperpero di 5 miliardi di euro” per il rifacimento della Gronda di Ponente. Riporta Il Giornale in un articolo di ieri: “[…] il presidente della Confindustria locale, Giovanni Calvini, tuonava contro i comitati del “no” alla realizzazione dell’opera che sarebbe servita ad agevolare il traffico lungo il tratto che oggi si è sbriciolato come fosse di cartapesta. “Quando tra dieci anni il Ponte Morandi crollerà e tutti dovremo stare in coda nel traffico per delle ore – diceva – ci ricorderemo il nome di chi adesso ha detto ‘no’ (alla Gronda, ndr)”. Contro di lui, come recuperato dall’Huffington Post negli archivi del Comune di Genova, si era scagliato il Movimento 5 Stelle che, per bocca di Putti, aveva espresso “rabbia e stupore”.  

Tutto ciò per onore di cronaca, ma veniamo ora al discorso “concessione ad Autostrade per l’Italia”. Avrete sentito in queste ore Toninelli e Di Maio, a cui poi si è aggiunto anche Salvini, puntare il dito per questa disgrazia contro i vertici della società che gestisce le autostrade. A torto? A ragione? E qui si può aprire un capitolo davvero vergognoso. Dice Giorgia Meloni che da tempo, con Fratelli d’Italia sta lavorando sulla questione per presentare a settembre un dossier in parlamento: “Il sistema delle concessioni autostradali è complessivamente un sistema malato. Dagli anni ‘90”, continua la Meloni: “ le autostrade italiane che sono state costruite con soldi pubblici, vengono gestite da società private. Queste ultime fanno pagare agli italiani i pedaggi più alti d’Europa, e trattengono per le loro casse il 97,6% di quello che ricavano. Si arriva quindi all’assurdo che queste società private diano allo stato il 2,4% di quello che incassano facendo pagare il pedaggio agli italiani su autostrade costruite sempre con i soldi degli italiani. Una situazione che appare fin troppo scandalosa. Ma non finisce qui”, prosegue la leader di Fratelli d’Italia. “Dunque abbiamo delle società private che ogni anno fatturano mediamente 6 miliardi di euro. Vi chiederete dove vada tutta questa montagna di denaro. Verrebbe spontaneo dire che in massima parte dovrebbe essere reinvestita appunto per la manutenzione dei tratti autostradali e in eventuali ammodernamenti, invece esce fuori che negli ultimi anni i soldi reinvestiti nelle autostrade sono diminuiti di un corposo 40%. Quindi, per la maggior parte, tutti questi denari che entrano nelle casse di queste società private di gestione, finiscono per creare grandi utili per i fortunati concessionari. E infatti Atlantia, Autostrade per l’Italia, della famiglia Beneton, in un anno ha ottenuto utili per 2,4 miliardi di euro, soldi su cui non paga le tasse in Italia perché suddetta società ha la sede in Lussemburgo.” Dice ancora la Meloni: “A questo punto, però, una domanda sorge spontanea: come mai in tutti questi anni gli italiani non si sono ribellati a questa incredibile situazione? Ebbene, ancora oggi, e non si capisce per quale motivo, su interi capitoli di questi contratti di concessioni viene posto il segreto di Stato. Quindi”, conclude Meloni, “rivediamo pure le concessioni, come chiede il governo, ma se si vuole davvero un cambio radicale, rendiamo completamente pubblici questi contratti, tutte le loro clausole, dove c’è scritto chi guadagna e come guadagna, perché non c’è una sola ragione al mondo per cui debbano essere secretati e, soprattutto, basta concessioni private per la gestione delle autostrade. Le concessioni vanno revocate tutte, e le autostrade nazionalizzate come avviene praticamente in tutta Europa, a cominciare dalla Germania. Una battaglia che Fratelli d’Italia porterà in parlamento a partire da settembre.”  

A noi non resta che confidare che qualcosa cambi davvero.

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RK Montanari
RK Montanarihttps://www.lavocedelpatriota.it
Viaggiatrice instancabile, appassionata di fantasy, innamorata della sua Italia.

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