Il limite dell’indebitamento: R.O.T.A. vs Moltiplicatore fiscale

di Massimiliano Scorrano

Prologo

 La produzione scientifica dominante è concorde nel sostenere che il merito creditizio degli Stati sia esclusivamente verificabile dal rapporto Debito/PIL. Sostenere semplicemente che un maggior indebitamento sia deleterio può essere vero ma non sufficiente, questo perché, genericamente, tutti siamo consapevoli che questo sistema prevede l’indebitamento per la crescita del PIL. Gli Stati, tutti, hanno necessità di investire gli impieghi acquisiti dalle fonti per realizzare i propri piani di spesa; tradotto, tutti gli Stati, nessuno escluso, hanno necessità di fare debito, tramite l’emissione di TDS, per ottenere i mezzi finanziari da impiegare affinché si dia seguito alle politiche fiscali intraprese. Dire semplicemente che solo un maggior debito pubblico sia causa, e non anche concausa, del rallentamento crea gli spread in quanto induce tutti a rivolgere l’attenzione sul debito e non sulla potenziale profittabilità ottenuta grazie a quel indebitamento. Ma quel è il limite massimo dell’indebitamento?

è qui disponibile la Parte4: (https://www.lavocedelpatriota.it/il-limite-dellindebitamento-r-o-t-a-vs-moltiplicatore-fiscale-4/)

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PARTE5

Come detto in precedenza il database dell’Eurostat consente l’acquisizione di alcuni dati. Per omogeneità abbiamo rivolto l’osservazione agli stessi Paesi considerati nel paper “The impact of high and growing government debt on economic growth. An empirical investigation for the Euro Area”, ossia: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo e Spagna. L’analisi è stata condotta per gli anni che vanno dal 2013 al 2017 con lo scopo di rilevare i dati relativi a:

  1. Government consolidated gross debt;
  2. Interest payable;
  3. Total fixed assets (net);
  4. Gross domestic product at market price.

Secondo i dati desunti, l’Italia risulta essere in prima posizione per quanto attiene al punto 1), ed in prima posizione anche per il punto 2) mentre è in terza posizione per quanto afferisce il punto 3) come pure in terza posizione per il punto 4). Per una puntuale e corretta visione d’insieme riteniamo opportuno riportare i dati in tabelle.

Le informazioni desunte dalla banca dati di Eurostat ci rendono un quadro che permette di effettuare anche altre analisi rispetto a quello che comunemente viene riportato dalle analisi dominanti. Possiamo pensare che da una certa parte della barricata, intendendo l’Unione Europea, la comunicazione ufficiale preferisce fissare il punto sul problema del debito piuttosto che sulla capacità di produrre reddito grazie al debito contratto. Però vi è anche da aggiungere e da sottolineare, in particolare, che chi contrae debiti non si espone verso terzi senza avere un minimo di consapevolezza che con le scelte intraprese si possa ripagare quel debito. In generale, è bene sottolineare, uno Stato non tende mai a ripagare interamente il debito bensì a rinnovarlo, attuando il cosiddetto rollout. Attuando questa pratica diventa essenziale far percepire ai “mercati” che il sistema tiene ed è affidabile e degno di fiducia mentre trasmettere le sole risultanze del tipo maggior debito = minor crescita è minimizzante rispetto anche ad altri aspetti che dovrebbero essere considerati. Del resto i dati stessi di Eurostat ci autorizzano a fare altre considerazioni. E quindi prendiamo nota che nel quinquennio considerato cinque paesi hanno ridotto il debito pubblico e sono Germania, Irlanda, Grecia ed Olanda mentre le altre hanno aumentato la loro esposizione. Tra quelle che hanno aumentato l’esposizione la Spagna ha registrato l’aumento massimo e l’Italia quello minimo (rispettivamente 17% e 9%). Dalla parte del reddito notiamo che il paese che ha fatto registrare il maggior aumento è stata l’Irlanda (+ 65%) mentre la Grecia registra un decremento (-0,24%). Da questo primo giro possiamo notare dati contrastanti. La diminuzione dell’esposizione sembrerebbe aver favorito Germania, Irlanda ed Olanda e sfavorito la Grecia nonostante la poderosa cura a cui è stata sottoposta. Inoltre il dato dell’Irlanda, in termini di crescita, è sostenuto rispetto alle altre. E’ probabile che l’attuazione di politiche predatorie, come la creazione di piccoli paradisi fiscali all’interno della stessa Unione, abbiano favorito oltre misura il rilancio di questa economia a discapito di altre. Cosa che ha attuato anche l’Olanda. Ma chi fa registrare la miglior performance rispetto alla redditività del capitale investito? Ossia, qual’è quel sistema paese che mette più margine tra il costo del capitale preso in prestito ed il rendimento del capitale investito grazie al debito contratto? Partendo dalla tabella degli assets dei dodici Stati, oggetto dell’analisi è possibile ricostruire il dato posto in domanda.

Gli investimenti in assets produttivi segnano il passo. L’Italia è al penultimo posto, come incremento, con lo 0,54% rispetto al 2013. L’ultima è la Grecia che ha assistito ad un disinvestimento generale (-12%). Chi ha effettuato investimenti ed ha incrementato il valore di tali assets è l’Irlanda con + 91%. Se analizziamo il valore lordo degli assets, la Grecia resta fanalino di coda (-5,76%), Italia ed Olanda molto vicini (3.70% e 3,72) e prima in questa classifica sempre l’Irlanda (+ 85,89%).

Dopo questa panoramica riusciamo a comprendere che la Grecia, nonostante la imponente ristrutturazione, non ha visto rinnovare i propri assets e quindi pochi sono stati gli investimenti in tal senso mentre l’Irlanda ha avuto la possibilità, grazie alle politiche fiscali dette in precedenza, di poter operare corposi investimenti. L’Italia segna il passo.

Le ultime tabelle riguardano le percentuali di indebitamento e le percentuali di reddito sugli investimenti:

Mettendo a rapporto gli interessi sul debito pubblico con il debito pubblico scopriamo che negli ultimi 5 anni tutti hanno visto al ribasso il tasso effettivo. La migliore performance l’ha avuta la Germania, registrando un –43,86% (dal 2,33% al 1,62%), mentre la peggiore performance l’ha avuta il Portogallo con -22,68% (dal 3,68% al 3,00%). Anche l’Italia ha visto abbassare l’incidenza del costo del capitale preso a prestito con percentuali simili all’Olanda.

Dall’esame di questa ultima tabella riusciamo a dare una risposta alla domanda relativa al limite dell’indebitamento sostenibile. Tutti i Paesi mostrano una leva positiva e quindi tutti possono avere libero accesso ai mercati finanziari ma occorre fare dei distinguo. L’Irlanda negli ultimi cinque anni ha contratto la sua capacità di saper estrarre reddito dal capitale investito, la Grecia ha aumentato la propria capacità, Francia ed Austria preoccupantemente e sostanzialmente stabili, l’Italia è terza in questa speciale classifica circa l’aumentata capacità nel corso degli ultimi cinque anni. L’Italia, in valori assoluti, recupera molto terreno nei confronti della Germania attestandosi entrambe su circa € 0,30 di redditività per ogni euro investito.

Anche gli indici di correlazione ci confermano che sono più gli assets che influiscono sulla determinazione del reddito che non il debito ed ancor meno gli interessi passivi che, beninteso, influiscono comunque sul PIL ma in misura meno rilevante rispetto agli assets. Quanto asserito sta a significare che il PIL risente maggiormente dell’influenza causata più dagli investimenti che dal debito contratto per ottenere gli investimenti stessi:

Come vanno letti questi dati? Il valore in corrispondenza di “r” indica la correlazione esistente tra le due variabili. Più il valore è prossimo ad 1 o a -1 e più si avvicina alla perfetta correlazione, in senso sia positivo e sia in senso negativo, mentre il valore in corrispondenza di “r quadro” sta ad indicare la forza di correlazione ed è espressa in percentuale e quindi più è vicina al 100% e più la forza di correlazione è forte. In tutti e tre i grafici viene dimostrato che c’è maggior correlazione tra le variabili PIL  ed Assets e meno tra PIL ed Interessi Passivi. La correlazione tra PIL e Debito Pubblico esiste, in misura minore rispetto al PIL ed Assets ma la forza di quest’ultimo è più forte (quasi 100%) degli altri “r quadro”. Inoltre, analizzando il decorso delle correlazioni nel corso degli anni, la correlazione PIL – Assets ha acquisito sempre più corrispondenza e con maggior forza mentre le altre due correlazioni si sono mosse al contrario perdendo man mano forza. Da questi calcoli risulta, ed è dimostrato, quanto sostenuto durante la trattazione, ossia, che non va analizzato solo il Debito Pubblico ma la profittabilità che il Debito Pubblico permette se gli investimenti sono indirizzati nella giusta direzione.

 

Conclusioni

La letteratura dominante vuole che i Paesi con più alto debito non siano meritevoli di credito, scontando un tasso di interesse maggiore (spread) per l’acquisizione di capitali sul mercato. Il presupposto parte dagli studi che evidenziano che maggior debito = maggior interessi passivi = minor capacità produttiva. Tale approccio è limitato in quanto il limite dell’indebitamento non è dato dal valore assoluto del rapporto Debito/PIL ma dalla capacità di estrarre valore dai capitali presi in prestito.

Studi altrettanto autorevoli hanno dimostrato che l’Italia paga, in termini di crescita del PIL (e non in capacità produttiva ed estrattiva di valore) l’aver voluto effettuare politiche auto imposte per rientrare e restare nell’unione monetaria a condizioni non ideali per la propria economia.

Alla luce di questo piccolo contributo è stato dimostrato che le valutazioni non devono fermarsi alla sola analisi dell’indebitamento ma analizzare la capacità di saper estrarre plusvalore dagli investimenti.

Infatti se la capacità estrattiva o creativa di plusvalore è maggiore del costo dell’indebitamento, la dottrina indica che è opportuno aumentare l’esposizione debitoria in quanto il plusvalore sarà capace di coprire tutti i costi che hanno concorso alla produzione del plusvalore, ovvio, inclusi gli interessi sul debito ed alla luce del fatto che il sistema Italia consegua, in sostanza, le stesse performance di plusvalore della Germania, la discriminante resta l’utilizzo di uno strumento monetario che penalizza enormemente il sistema Italia a vantaggio dei paesi del nord.

 

16/05/2020, Massimiliano Scorrano

 

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Giovanni Moretti
Giovanni Moretti
Giovanni Moretti è nato a Torino nel 1963. Specialista in architetture informatiche e servizi ICT, ha studiato e lavorato per più di trent'anni per grandi multinazionali del settore per trovarsi ora in un percorso a ritroso che era iniziato in giovinezza con l'algebra di George Boole, poi proseguito in direzione di Gottlob Frege raccogliendo, strada facendo, una profonda passione per la filosofia

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