La tragedia dell’epidemia del coronavirus, che sta colpendo ferocemente l’Italia in questo marzo 2020, ha avuto un effetto inaspettato ed incredibile; ha scatenato un sentimento considerato per decenni demodé da gran parte della cultura e dell’Intelligencija della sinistra italiana: il sentimento del Patriottismo e di Unità nazionale. La riscoperta del canto patriottico e popolare non è stata una scena ridicola e anacronistica, ma un’oleografia nazionale che non si vedeva da almeno un secolo; un quadro vivente di patrioti che hanno ritrovato ed esposto le vecchie bandiere sepolte in scatole e armadi, che probabilmente non tiravano fuori dall’occasione di certo molto meno importante dei Mondiali del 2006. Sui balconi gli italiani hanno ritrovato la Patria, sventolando la loro bandiera e cantando il loro inno; quella Patria «che è come la salute, se ne comprende il valore quando non c’è».
L’Italia attende ora nelle case e sui balconi; l’età della sua riscossa è tenera come quella di un bimbo affacciato alla finestra con lo striscione “andrà tutto bene” in mano; i suoi eroi sono i medici e gli infermieri che «gettano il cuore oltre l’ostacolo»; i suoi caduti sono in molti casi gli anziani, i più indifesi di fronte al virus. Anche il suo purissimo entusiasmo si trova nelle note suonate del La Canzone del Piave ed quasi innocente quando alle 18:00 di ogni sera si alza il motto “Restate a casa”; è difficile spiegare queste ore: l’Italia è fuori dal mondo veloce e scettico d’oggi, fuori di almeno un Secolo; come una Penisola romantica che vive ancora la Poesia dell’Amor di Patria; all’antica, alla De Amicis, come nelle pagine a colori della Domenica del Corriere dei primi anni del Novecento; l’Italia è indietro nel tempo, ferma agli anni del Risorgimento, all’epoca di Enrico Toti, di Scesa, di Oberdan, di Sauro, di Battisti; l’Italia è tal quale gli italiani, o così o in nessun altro modo.
Dopo aver raggiunto la consapevolezza che restare a casa fosse l’unica strada per sconfiggere l’infezione, gli italiani si sono affacciati ai balconi di ogni città e hanno cantato l’Inno di Mameli per darsi forza e coraggio l’un l’altro. Di fronte al Covid-19, il nuovo straniero e invasore, che miete centinaia di vittime: padri e madri, giovani e anziani, medici e infermieri, da Milano a Palermo, passando per le città martiri di Bergamo e Brescia, gli italiani hanno esposto il tricolore alle finestre e cantato a squarciagola le parole dell’inno, anche quelle più dimenticate.
Se perfino Lucia Annunziata, giornalista di Rai Tre, ex militante comunista, si è commossa di fronte all’Inno nazionale cantato dai balconi dei quartieri popolari, come nelle zone residenziali radical chic, ciò significa che l’Italia deve affrontare una di quelle battaglie storiche e morali, che i grandi popoli ogni tanto devono sostenere nella loro storia: lottare per la sopravvivenza per la propria nazione, popolazione e del proprio Stato, «per un’unica via di salvezza: Resistere, Resistere Resistere» come disse Vittorio Emanuele Orlando. Mi sono venute in mente in questo caso le parole della poesia simbolo del Risorgimento: Marzo 1821 di Alessandro Manzoni. Molti di noi la ricorderanno perché studiata ai tempi della scuola.
Ma il vero significato di quell’ode l’abbiamo riscoperto a causa dell’emergenza. La poesia inizia con l’immagine dell’esercito italiano fermo sulle rive del fiume Ticino. Consapevole di tutto ciò che sta per accadere: sicuro in cuore, ricorda dell’antico valore della sua gente. I soldati hanno giurato: non accadrà più che questo fiume divida più nazioni straniere, non ci sarà un luogo in Italia diviso da frontiere. «Soffermàti sull’arida sponda/ volti i guardi al varcato Ticino/ tutti assorti nel nuovo destino/ certi in cor dell’antica virtù/ han giurato: Non fia che quest’onda / scorra più tra due rive straniere; non fia loco ove sorgan barriere / tra l’Italia e l’Italia mai più. Dopo aver letto questi primi versi, pensate ai medici e agli infermieri che curano gli ammalati del virus e che lottano affinché non si propaghi al resto d’Italia. Continuava l’opera con l’invocazione di altri valorosi patrioti che rispondevano a quel giuramento da tutte le altre regioni d’Italia.
Preparandosi alla lotta prima di nascosto e ora alla luce del sole. Le mani si strinsero in un giuramento sacro: o saremo compagni, morendo, o saremo fratelli nella Patria liberata. «L’han giurato: altri forti a quel giuro/ rispondean da fraterne contrade/ Affilando nell’ ombra le spade/ che or levate scintillano al sol/ /Già le destre hanno stretto le destre/ già le sacre parole son porte/ o compagni sul letto di morte/ o fratelli sul libero suol». Pensate adesso alla popolazione di tutte le altre regioni italiane che dopo aver capito il pericolo del coronavirus, si sono affacciate alle finestre e hanno intonato l’inno nazionale, e a quei medici degli altri ospedali della Penisola che hanno iniziato a dover soccorrere i propri pazienti.
Ancora il giovane Manzoni proseguiva con la descrizione dei fiumi più importanti del Nord Italia, domandandosi chi potesse distinguere nelle acque del Po quelle dei suoi affluenti, la Dora Baltea, la Bormida affluente del Tanaro, il Ticino e l’Orba che scorre tra i boschi. E ancora chi potesse separare nel Po le correnti che si sono mischiate del veloce Mella e dell’Oglio, chi potesse togliere i mille torrenti che vi versa l’Adda. «Chi potrà della gemina Dora/ della Bormida al Tanaro sposa/ del Ticino e dell’Orba selvosa/, scerner l’onde confuse nel Po / chi stornargli del rapido Mella e dell’Oglio le miste correnti, chi ritorgliergli i mille torrenti/ che la foce dell’Adda versò». È l’Italia che sarà capace di distinguere in una moltitudine divisa e schiava una gente risorta, che ha conquistato la sua libertà e, andando indietro negli anni, nella sua storia e nel suo destino, farla ritornare agli antichi dolori e splendori.
Un popolo che sarà o libero e unito tutto, o tutto schiavo; entro i suoi confini naturali dall’Alpe al mare; unico in armi, di lingua, di religione, di storia, di stirpe e di indole. «Quello ancora una gente risorta/ potrà scindere in volghi spregiati/ e a ritroso degli anni e dei fati/risospingerla ai prischi dolor. / Una gente che libera tutta/ o fia serva tra l’Alpe ed il mare/ una d’arme, di lingua, d’altare/ di memorie, di sangue e di cor». Riportando poi le altre parti più significative dell’opera: l’Italia torna nei propri diritti, cioè di retaggio: eredità nel senso di patrimonio storico e spirituale nazionale derivato dagli avi, e il suo suolo riconquista; oh stranieri, raccogliete in fretta le vostre cose, (dà proprio l’immagine di un esercito accampato) ed andate via da una terra che non vi ha generato. Non vedete che tutta si muove l’Italia come in un terremoto, dalle Alpi allo Stretto di Messina? Non vedete che ormai è ribelle e trema sotto il peso del piede straniero? «O stranieri, nel proprio retaggio/ torna Italia, e il suo suolo riprende;/ o stranieri, strappate le tende/ da una terra che madre non v’ è/ Non vedete che tutta si scote/ dal Cenisio alla balza di Scilla? non sentite che infìda vacilla/ sotto il peso dé barbari piè?». Dopo questi versi pensate all’Unione Europea e agli Stati europei che nel momento del bisogno, quando servivano all’Italia respiratori e mascherine hanno chiuso i confini. Pensate alle dichiarazioni di Madame Lagarde che ha fatto crollare la borsa di Milano del 17%.
Pensate all’Unione Europea che all’inizio dell’emergenza, aveva previsto la ridicola cifra di 250 milioni di euro perché il problema del coronavirus riguardava solo il nostro paese. E ancora, continuando a commentare un altro verso della poesia: quante volte l’Italia ha sperato di veder giungere dalle Alpi un aiuto, quante volte vanamente ha spinto lo sguardo oltre i mari (Adriatico e Tirreno), nella speranza dell’arrivo di un amico. Ecco infine l’aiuto sorgere dalla stessa Italia, i suoi figli sono usciti a combattere, stretti intorno alla bandiera italiana, incitati e resi ancor più forti dalle sofferenze. «Quante volte sull’ Alpe spiasti/ l’apparir d’un amico stendardo/ quante volte intendesti lo sguardo/ né deserti del duplice mar». «Ecco alfin dal tuo seno sboccati/ stretti intorno à tuoi santi colori/ forti, armati dé propri dolori/ i tuoi figli son sorti a pugnar». Oggi, oh valorosi, sui volti che risplendono la rabbia contenuta e repressa per troppo tempo nel segreto dell’animo: si combatta per l’Italia, vincete! Il destino è nelle vostre mani. O vedremo l’Italia risorta per merito vostro, seduta all’assemblea dei popoli liberi, o la vedremo più sottomessa, avvilita, insultata, sotto il simbolo del potere, il terribile scettro straniero. «Oggi, o forti, sui volti baleni/ il furor delle menti segrete/ per l’Italia si pugna, vincete/ Il suo fato sui brandi vi sta». «O risorta per voi la vedremo/ al convito dé popoli assisa/ o più serva, più vil, più derisa/ sotto l’orrida verga starà».
E infine la strofa aggiunta nel 1848 ed allusiva probabilmente alle 5 giornate di Milano: Oh giornate della nostra rivincita; misero colui che da lontano, per mezzo di parole degli altri, come un estraneo, ne sentirà parlare. Colui che ai suoi figli, narrando un giorno, dovrà dire con rimpianto: io non c’ero e dovrà dire di non aver potuto salutare quel giorno la bandiera italiana vittoriosa. «Oh giornate del nostro riscatto/ oh dolente per sempre colui/ che da lunge dal labbro d’ altrui/ come un uomo straniero, le udrà/ Che à suoi figli narrandole un giorno/ dovrà dir sospirando: io no c’ era;/ che la santa vittrice bandiera/ salutata quel dì non avrà». Leggendo quest’ultimo verso, pensate a chi si dichiara europeista a priori, negando l’evidenza che in questa Europa la speculazione finanziaria viene prima della salute dei cittadini. L’UE non è l’Europa dei popoli, della solidarietà, delle Nazioni libere.
D’altronde la sinistra riciclatasi ultra-capitalista, “orfana” del Muro di Berlino ha voluto costruire un nuovo Muro, quello dello Spread. Ma come un tempo nessuno immaginava la Caduta del Comunismo nel 1989, il mio augurio è che venga il giorno in cui l’Europa cambi, diventando quella delle Nazioni libere e democratiche, una confederazione di Stati fraterni, senza imposizioni. Anche questo Muro invisibile prima o poi cadrà, e saranno per primi gli europeisti integralisti a cadere, come allora caddero i comunisti ortodossi.