Possedere il senso della misura, è una grande fortuna. Ti evita le cadute di stile, le figuracce, l’esaltazione immotivata che finisce sempre ricaderti addosso. Insomma, il più delle volte ti evita di scadere nel ridicolo.
Oggi, a smarrire il senso della misura – ci duole constatarlo – sembrano essere per lo più gli esponenti dei due partiti di governo, Lega (Nord e Sud), e Movimento 5 stelle. Perciò, nella stessa giornata, quasi contemporaneamente, ecco che ti trovi ad assistere a scene che ti saresti volentieri risparmiato.
Atto Primo: la rissa tra leghisti e Fratelli d’Italia. Tutto comincia quando si discute l’esame del decreto sulla nuova sede del Tribunale di Bari, quello che sta crollando e che ha costretto le udienze all’interno di tende di fortuna. Se il decreto passa, la sede del palazzo di Giustizia verrà trasferita in un immobile di proprietà di un imprenditore, Giuseppe Settanni che, secondo quanto riferito da un articolo de La Repubblica, è l’uomo che ha prestato “centinaia di migliaia di euro al cassiere del clan mafioso Parisi”. Vero o falso che sia, non lo sappiamo e non spetta a noi prendere posizione, ma all’interno dell’aula di Montecitorio, tutti i partiti d’opposizione non vedono il decreto di buon occhio, almeno finché la situazione non verrà chiarita con una esternazione del competente ministro della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede, non presente alla seduta. A quel punto, prende la parola Emanuele Fiano che, come suo solito, afferma perentorio: “Il ministro Bonafede venga subito in aula a riferire sui motivi che hanno determinato il trasferimento del Tribunale di Bari in un immobile di proprietà di un imprenditore che prestava soldi ai clan”, e aggiunge: “Ci auguriamo che il ministro possa smentire questa notizia gravissima”, e via di questo passo.
Lega e Movimento 5 stelle, però, non accettano uno stop, nemmeno per arrivare a un chiarimento pacificatore, e tutti i partiti di opposizione si preparano all’ostruzionismo. Tra questi, anche Fratelli d’Italia. Ed è proprio un esponente del partito della Meloni, Marco Silvestroni, che prende la parola per spiegare la posizione di FdI quando nel bel mezzo del suo intervento viene interrotto dal leghista Eugenio Zoffilli che si alza in piedi e gli urla: “E’ bello vedere che il PD applaude a Fratelli d’Italia”. Silvestroni, ovviamente non la prende bene, e replica: “Voi della Lega siete la stampella del Movimento 5 stelle”. E scoppia la bagarre. Prima che i commessi possano accorrere e mettersi tra i contendenti, vola qualche schiaffone, qualche spinta e qualche urlo, mentre il presidente Fico interrompe la seduta.
Niente di eclatante, dunque, o che non si sia già visto a Montecitorio. Quello che colpisce, però, è la tracotanza di Zoffilli e dei suoi colleghi. Chissà per qualche strampalato motivo si sentono in diritto di stabilire come debba votare Fratelli d’Italia, partito non di governo, e arrivino a criticarlo per un casuale apparentamento con il PD in una questione molto specifica, loro, che hanno fatto un governo con chi, fino al giorno prima, li insultava come fossero degli appestati. Ed ecco che torniamo a quel senso della misura di cui parlavamo in apertura. La Lega è sulla cresta dell’onda, in questo momento riscuote un successo paragonabile solo a quello di Renzi prima maniera, e i suoi esponenti pensano che tutto sia dovuto loro, che nessuno li possa ostacolare o contestare mai. Che abbiano addirittura diritto di veto, e forse che mettano paura a qualcuno. Un grosso errore.
Atto secondo: l’abolizione del vitalizio. Per stare al passo con Salvini che sul tema migranti guadagna continuamente consensi, il povero Di Maio fa di tutto per portare a casa una delibera che piaccia alla gente, non importa quanto sia veramente utile, ma più che altro quanto sia popolare. Ed ecco arrivare il taglio dei vitalizi per gli ex deputati, un risparmio che Fico concretizza in una quarantina di milioni all’anno che, anche se fosse, è una goccia nel mare del bilancio della Nazione. Ma non interessa. I vitalizi così come erano stati concepiti, andavano effettivamente eliminati per una questione di giustizia sociale, perché non sono mai stati come si è sostenuto da più parti, “diritti acquisiti”, quanto veri privilegi. L’ok al taglio arriva anche dal PD e da Fratelli d’Italia (e guarda un po’ in questo caso i leghisti non hanno niente da ridire che i due partiti in questione votino all’unisono), mentre si astiene Forza Italia. E fino a qui, ci si può stare. Poi, però, arriva lo smarrimento del benedetto “senso della misura”. Ed ecco che tutti gli esponenti dei 5stelle presenti in aula, si riversano nella piazza antistante al parlamento con palloncini gialli e bottiglie di champagne. Cantano, ballano, brindano che nemmeno a Parigi il giorno della fine della Seconda guerra mondiale. Sembra che con questa delibera, tutti i mali passati, presenti e futuri della Nazione, siano stati magicamente sanati. Di Maio, da bravo grillino, salta di qua e di là per rispondere a tutti i giornalisti e sorridere a ogni telecamera, senza tralasciarne nessuna, nemmeno quella di un paio di turisti giapponesi di passaggio.
In realtà, fa notare Giorgia Meloni con tanto di prove (articoli di giornali dell’epoca), la prima a parlare di taglio ai vitalizi era stata lei, già nell’ormai lontano 2011 e, se non bastasse, nel 2013 Fratelli d’Italia aveva anche presentato una proposta di legge – sosteniamo noi pure meglio strutturata e più inattaccabile di quella dei pentastellati – in Parlamento, alla quale anche il Movimento 5stelle aveva votato contro. Perciò, se quel senso della misura tanto importante qualcuno se lo fosse tenuto caro invece di gettarlo alle ortiche, probabilmente ci avrebbe solo guadagnato.